martedì 24 dicembre 2013

Come Brezza


Le vele cadono inerti. L’aria afosa, l’orizzonte nascosto dalla foschia.
La barca offre il fianco all’onda e rolla sonnacchiosa.
Il sole picchia, il tempo si ferma. Secondi diventano minuti. Minuti, ore. Ore, giorni.
La noia. La Bonaccia.
L’assenza di vento sulla terra ferma è vista come una cosa positiva, ma in mare…. Bonaccia.
La barca, presa nella sua morsa, è incapace di reagire, di interagire con l’elemento che la circonda. Come i pensieri cupi o un malevolo ricordo, l’onda morta di una tempesta lontana la raggiunge e il rollio si fa impertinente. La vita a bordo impossibile. In nessun’altra situazione la barca è in balia dei capricci del tempo, nessuna fuga è possibile. La corrente ti porta dove vuole, nessuna scelta è possibile.
Ma, come ogni cosa, anche la bonaccia deve finire.
Una brezza leggera sale dal mare. Le vele riacquistano la forma.
Forma che si esprime nel movimento.
La rotta è ripresa.
L’aria si fa limpida. L’orizzonte si definisce. Il tempo, la vita cominciano a scorrere di nuovo. I pensieri e i ricordi, l’onda, l’ordine è ristabilito.

E ora?
Ora il vento si fa impetuoso. Come un musicista, passa veloce tra il sartiame che vibra.
Corde di un magico strumento.
Le vele sbattono e l’attrezzatura risuona sotto lo sforzo.
Per trattenere la sua furia, per contenere il suo impeto.
Corre veloce la barca nell’onda. Schiuma e spruzzi. Musica.
Musica drammatica, narra del pericolo che ti precipita addosso.
Freddo. Acqua. Nuvole plumbee che corrono basse.
È la vita. È la tempesta.
Eppure nella tempesta la barca non è inerte.
La tempesta va affrontata, l’onda cavalcata.
Il vento ti porta lontano. Sempre avanti. Il passato cerca di raggiungerti, ma tu sei più veloce.
La tempesta non ti è nemica.
Nulla ti cela. Nessuna menzogna vi si nasconde.
La sua forza… Il suo grande pericolo.
Ma come ogni cosa, anch’essa deve finire.
E allora il vento cala, la rabbia si placa. Il mare schiumoso riacquista compostezza. L’onda perde la sua violenza.
Al suo posto, una brezza leggera. Le vele riacquistano la forma.
Forma che si esprime nel movimento.
La rotta è ripresa.
L’aria si fa limpida. L’orizzonte si definisce. Il tempo, la vita cominciano a scorrere di nuovo alla giusta velocità. I pensieri e i ricordi, il passato, l’ordine è ristabilito.

E ora?
Ora la brezza è mia amica, la mia compagna, il mio amore.
Tu sei la mia brezza, Justine.

venerdì 13 dicembre 2013

Immagina (L’inverno è passato)


Immagina.
Immagina un uomo. Vestito blu, camicia bianca, cravatta azzurra.
Immagina una macchina fotografica. L’occhio sinistro si chiude, il destro inquadra il soggetto.
Immagina una ragazza. Abito lungo, di raso. Occhi tristi. Con la mano asciuga la lacrima che scorre sulla sua guancia. Capelli neri, lunghi. Le cadono sulla spalla. Lasciano scoperto un orecchio. Un orecchino d’oro. Pendente.
Immagina un cane che corre sulla spiaggia. Insegue le onde che frangono. Abbaia alla risacca. Nero.
Immagina un tramonto. Le nubi, basse all’orizzonte, portano la tempesta. Il cielo, viola.
Immagina tutto questo ed altro ancora…
Una casa laggiù sullo sfondo. Tra le dune di quella lunga spiaggia oceanica. Dal comignolo un filo di fumo. Una tazza di the si scalda sulla stufa a legna.
L’inverno è passato.
E ancora: una coppia che passeggia.
Fianco a fianco camminano, le braccia strette ai loro corpi. I cuori battono all’unisono. Gli occhi guardano lontano. Vedono una barca che sfida l’oceano.
Le bianche vele al vento, il timoniere attento. La notte sarà lunga e ancora molte miglia lo separano dal porto. In cambusa la sua donna prepara del caffè bollente. Canticchia una canzone.
Ci riesci? Riesci a immaginare tutto questo?
Vedi quel gabbiano?
Ascolta il suo canto.
Canta alla luna che tra poco sorgerà, alla brezza che lo sostiene e lo porterà lontano. Canta a quel pesce, quello che nuota appena sotto la superficie dell’acqua, la preda che lo sfamerà.
Canta alla tempesta, quella che arriverà all’alba, e che con i suoi venti spazzerà la spiaggia, farà impazzire l’oceano, soffierà tra le fessure di questa vecchia casa e mio Dio… sarà bello allora stringersi al riparo delle nostre calde coperte amore mio.

domenica 8 dicembre 2013

Occhi di bragia.


La porta cederà presto.
I colpi si susseguono. Sa che sono qui dentro, mi vuole.
Quando? Quando è cominciato questo incubo?

Ieri sera. Si, ieri sera. La spiaggia, il fuoco, la carne sulla griglia, il grande cielo stellato. Paola era bellissima. La pelle color ambra, gli occhi grandi e azzurri, mi ci sono perso in quegli occhi, fin dal primo giorno. Avevamo fatto il bagno e teneva la salvietta legata alla vita, come un pareo. Mi guardava, sorrideva.
Intorno a noi, altri ragazzi, amici suoi. Un gruppetto, non ricordo, forse otto, si, otto. Ragazzi e ragazze, ridevano e scherzavano intorno al fuoco, alcuni ballavano al suono della vecchia radio a batterie. Un paio si erano defilati nella boscaglia dietro la spiaggia. Dai bungalows del villaggio giungevano musica e risa, altri falò, altri ragazzi.

Sembra tutto così lontano, ora, con quella cosa, che picchia. Maledetta, maledetta!

Io e Paola ci tenevamo un po’ discosti dal gruppo, forse per questo riuscimmo a sopravvivere al primo assalto.
Dalla boscaglia, veloce, silenzioso.
Una furia cieca, possente, con gli artigli fendeva l’aria e le carni, con le mascelle stritolava le ossa.
Impietriti, mano nella mano come due amanti al chiaro di Luna, guardavamo l’animale informe fare a pezzi i nostri amici, sotto quello splendido cielo stellato.
Non ci vide.
Fermo sulle carcasse delle sue vittime girava la testa verso il villaggio dal quale i suoni della festa giungevano, e, com’era venuto, spariva per riprendere la caccia. Pochi secondi.
Pochi secondi per porre fine alla vita in quel lembo del Messico.
Nel frattempo noi rimanevamo immobili. Gli occhi fissi sui cadaveri poco distanti. La brezza leggera che si infilava tra le fronde delle palme alle nostre spalle.
Uno dei ragazzi, credo fosse Pietro, era caduto sul braciere e l’odore delle sue carni arrostite, a tratti, ci raggiungeva. La musica era cessata, il silenzio dominava su tutto. Solo la risacca riempiva il grande vuoto lasciato dalla natura fuggita anch’essa terrorizzata.
Dal villaggio giungevano echi di suoni terribili, la bestia terminava il fiero pasto.
Mi ricordai allora della capanna del vecchio eremita, doveva essere ancora in piedi. Un chilometro, forse due. Costrinsi Paola ad alzarsi, le gambe tremavano e lo sforzo per compiere i primi passi fu estenuante. La trascinai sul bagnasciuga e ci dirigemmo verso il rifugio, che forse ci avrebbe permesso di sopravvivere fino all’alba. Speravo, che con l’arrivo del giorno la creatura se ne sarebbe andata.
Man mano il passo si faceva più sicuro, non dovevo più trascinare la ragazza, mi seguiva silenziosa. La fiducia si faceva strada nei nostri cuori e le forze cominciavano a tornare. Il cielo ad oriente si faceva più chiaro.
Il Sole. L’alba. La salvezza.

La porta sussulta, geme. I colpi non cessano, anzi sembrano sempre più forti. La rabbia, l’odio di quella bestia, cosa può aver generato una creatura simile?


Credo fossero le cinque del mattino, quando dietro alla curva della spiaggia scorgemmo la capanna. Sembrava in buono stato. Distava un centinaio di metri. Alla nostra sinistra il mare, a destra il bosco e fu proprio dagli alberi che uno strano rumore aveva attirato la mia attenzione. Fin dal momento dell’attacco nessun suono, né verso di animale ci avevano raggiunto e quello scricchiolio aveva gelato il sangue nelle mie vene. Paola non sembrava aver sentito nulla. La capanna si avvicinava troppo lentamente. Le diedi uno strattone e cominciammo a correre. Veloce, veloce, sempre più in fretta. Alle nostre spalle qualcosa saltò fuori dalla boscaglia. Non avevo il coraggio di guardare. Ci seguiva. Ci raggiungeva. Mano nella mano correvamo a più non posso, decisi a farci scoppiare i polmoni, la creatura dietro di noi, folle, rabbiosa.
 
Tutto è successo un attimo fa.


Ecco la capanna. La porta. Entro. Paola non c’è, la sua mano non è più nella mia, l’ho persa.

L’ho persa.


Sprango la porta davanti ad una spiaggia deserta. Il sole all’orizzonte, il cielo azzurro, il mare cristallino, la brezza leggera e fresca, 

l’ho persa.

Quella stessa porta giace ora ai miei piedi. La creatura mi fissa, sagoma scura, occhi di bragia. Un ringhio feroce, le zanne scoperte.


La paura è passata.

giovedì 8 aprile 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

VI Parte

La porta si spalancò e due energumeni in camice bianco entrarono nella cella. Erano stati avvertiti di non sottovalutare la forza e l'astuzia di Luca, ma guardando il ragazzino non potevano fare a meno di chiedersi se con l'età Guglielmo non si fosse rammollito.
Comunque Luca non aveva intenzione di sferrare il suo attacco in quel momento, una delle prime cose che il Lupo gli aveva insegnato era stata quella di valutare le forze del suo avversario e di osservare il terreno dello scontro.
« tieni occhi e orecchi ben aperti! Studia il terreno, assorbi le sue caratteristiche, il suo odore. Cerca di conoscere i tuoi avversari, tra di loro si cela sempre un anello debole, approfittane. »
Il ricordo delle parole di Paolino lo aiutava a mantenere il controllo, mentre seguiva senza fiatare i due carcerieri attraverso i corridoi che lo portavano dal suo aguzzino.
« Guglielmo si è proprio rammollito! » diceva uno dei due e la sua risata risuonava nelle grandi stanze vuote.
« Attento a quello che dici... » lo ammoniva l'altro « se il Principe dovesse sentirti... » .
« Quel caro vecchietto? » continuava il primo ormai pieno di presunzione, « se prova a dirmi qualcosa, gli do una carezza sulla schiena che lo spezzo in due! » e scoppiava in un'altra risata.
Luca ascoltava. Tra gli uomini del Principe serpeggiava il malcontento.
Ovunque nella clinica si potevano scorgere i segni dell'incuria e dell'abbandono, l'odore di vecchio era ovunque. L'ultimo paziente era stato dimesso molti anni prima, ma il tanfo della paura e della pazzia impregnava le mura ammuffite, corrodeva gli animi delle persone, ne minava la volontà. Quello che sembrava un ottimo rifugio per nascondere le attività maligne del Principe, ne avrebbe accelerato la rovina.
Luca si rendeva conto, ancora prima di incontrarlo, che l'antico nemico del Drago era già sconfitto, il tempo era stato suo giudice, lui ora sarebbe stato il suo carnefice.
Il percorso fu lungo e ci volle quasi mezz'ora per arrivare nelle stanze del padrone del castello.
Il Principe aveva deciso di incontrare il suo ospite nella grande sala dei ricevimenti.
In origine, quando il palazzo fu costruito, questa, riccamente addobbata, era luogo di banchetti e feste sfarzose, ma, poi, con la trasformazione del castello in clinica, era diventata la sala mensa. Accanto a finiture baroccheggianti ed ad affreschi dal carattere spiccatamente bucolico, raffiguranti la famiglia del vecchio proprietario, si trovavano, in evidente stato di abbandono, i banchi del self service e un po' ovunque tavoli e sedie ammucchiati in malo modo. In mezzo a tutto questo, proprio nel centro della sala, era stata montata una pedana di legno ricoperta da un vecchio tappeto ammuffito, e sopra di esso, un grande sedia in legno con rifiniture dorate e seduta in velluto rosso. Rannicchiato sopra quel trono scricchiolante e fatiscente, l'uomo che per secoli aveva tenuto sotto scacco tutto il mondo conosciuto. Il signore della guerra. L'acerrimo nemico, per combattere il quale, Luca aveva passato tutti gli anni della sua infanzia ad essere preparato.
“Puzza di morte”, il pensiero aveva attraversato la mente di Luca appena entrato nella stanza.
Venne scortato fin davanti al trono della corte dei miracoli, il Principe lo osservava dallo scranno in silenzio, gli occhi, forse l'unica cosa che sembrava ancora viva in quel corpo avvizzito, puntati dritti su di lui.
Luca, conscio dell'esame a cui veniva sottoposto, stava immobile, gli occhi, a sua volta, fissi sul Principe. Lasciava che da essi trapelasse, non l'odio, ma la pietà per quel potente decaduto.
In un primo momento, Sua Maestà rimase stupito da quello che vedeva: era preparato alla paura, invece si trovava davanti la sfida e la pietà. Allora fu preso da un moto d'ira, il suo orgoglio ferito, e, finalmente, quella scintilla di vita che aveva cercato nel suo cuore per tutta la notte, esplose dentro di lui. Gli occhi fiammeggianti, si alzò in piedi, e con voce stentorea: « Come osi? » , al che il ragazzino per niente spaventato rispose: « Sei già morto da secoli » .
Il Principe, dimentico dell'importanza di Luca per i suoi piani di rivalsa, scattò in avanti, il suo corpo sembrava letteralmente gonfiarsi sotto la spinta della sua rabbia, le sue dimensioni aumentarono e nel tempo di un batter di ciglia, assunse la sua forma originaria, che per secoli era stata sepolta nell'oblio della sconfitta. Quando piombò sul corpo del ragazzo, il gigantesco Drago Rosso era tornato.
Luca, risultato di secoli di selezione e preparazione portati avanti da Alberto e da Paolino, non fu colto impreparato. I suoi sensi accelerati gli permettevano di guardare il Drago avventarsi su di lui come al rallentatore, poteva vederne i muscoli tesi, le arterie gonfie, lo sguardo pieno di rabbia, poteva sentirne il battito del cuore, coglierne il respiro e tutto questo nel lampo di tempo che fu necessario al mostro per avventarsi su di lui. Lasciò, allora, che tutta la forza e l'energia imbrigliate nel suo corpo fluissero liberamente e qualcosa di inimmaginabile successe.
L'uomo divenne Drago.
Il tabù che aveva resistito per milioni di anni era stato infranto.
Un'istante prima dello scontro tra i due giganteschi corpi, la scintilla di consapevolezza di quanto era stato tentato dal Drago Nero, attraversò la coscienza del Principe Rosso, il suo ultimo pensiero, prima di rovinare addosso a Luca fu: “Pazzo! Che cosa hai fatto?”.
Il giovane e forte Drago Bianco, fermò la corsa del suo avversario col proprio corpo, poi con un movimento rapidissimo, ne prese il collo tra le fauci e questo, stretto in una morsa irresistibile, si spezzò. La vita del Principe fuggì in un lungo sospiro, la morte arrivò a portare il sollievo troppo a lungo rinviato.
Nell'istante del trapasso, tra i due corpi avvinghiati successe una magia. Qualcosa alla quale Luca non era pronto, perché solo i draghi originari più antichi ne erano a conoscenza e Alberto ne aveva serbato il segreto.
Una scarica di energia unì le due menti, e tutti i ricordi e le esperienze secolari del Drago morente e di tutti i Draghi da lui uccisi e, ancora, di tutti i Draghi periti nelle numerose battaglie di questo antico popolo immortale, si riversarono nella mente di Luca.
Impreparato a ricevere una così incredibile messe di informazioni, perse i sensi e cadde proprio sul fianco del cadavere del suo avversario. Il suo aspetto riprese forma umana.
In un attimo tutto fu finito. Gli scagnozzi del Principe, viste le sue vere sembianze si erano dati alla fuga terrorizzati, l'unico rimasto nella sala ad assistere alla sconfitta del suo padrone fu Guglielmo.
Immobile in un angolo, gli occhi vitrei per lo stupore, la volontà fuggita dal suo corpo come la vita da quello del suo Signore. Poi lentamente si riprese. Si avvicinò al corpo del ragazzo svenuto, estrasse un coltello affilatissimo dalla fondina, che teneva celata alla caviglia, lo appoggiò alla sua gola. Se avesse portato a termine quello che si era prefissato, la sua vendetta sarebbe stata compiuta e la faida sanguinaria sarebbe stata chiusa. Avrebbe potuto tornare a casa, ammesso che la sua casa fosse ancora esistita. Ma in quel momento il pensiero del potere immenso del ragazzo attraversò la sua mente e si rese conto che adeguatamente manovrato sarebbe stata un'arma invincibile in suo possesso. Forse insieme avrebbero potuto riprendersi l'antico regno.
Ripose il coltello e raccolto il corpo di Luca dal pavimento se lo mise in spalla. Raggiunta l'ambulanza nella rimessa, si mise alla guida. Attraversato il viale, uscì dal cancello di ferro e diretto il mezzo a destra, imboccò la strada che si addentrava ancora più in profondità tra le colline boscose e disabitate.
Ora il destino del mondo era in mano sua.

sabato 3 aprile 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

V Parte

Quando il fuoristrada si fermò, erano passate le due del mattino, Alberto e Paolino lasciarono Carla profondamente addormentata e si incamminarono per il sentiero che conduceva alla piccola casetta sul fianco della collina, proprio in mezzo ad una radura completamente circondata dal bosco di castani.
Arrivati davanti all'entrata, esitarono.
Proprio in quel momento la porta si aprì e la figura piccola e magra di una vecchia signora si affacciò all'uscio. Gli occhi di lei guardarono con durezza Lodrago, ma quando si posarono su Paolino un'immensa dolcezza vi apparve e una lacrima fece capolino sulla sua guancia. Si chinò su di lui e lo abbraccio. Il muso duro del Lupo si raddolcì immediatamente e tutto il suo corpo si afflosciò tra le braccia della donna.
« La mia piccola Rosa » , disse con un moto di affetto incredibile in un vecchio duro come lui.
I ricordi si riversarono dentro di suo corpo come le acque del torrente in piena, gonfiate dal temporale estivo. I Giorni passati a contemplare il piccolo corpicino della splendida neonata, i suoi primi vagiti, il suo odore, un mix di lozioni profumate e latte. La sua fanciullezza, l'adolescenza e il suo divenire donna. Tutta una vita trascorsa al suo fianco, due esseri, un solo cuore.
Da secoli, Paolino condivideva la sua vita con quella dei membri di questa famiglia, ne era la memoria storica vivente, aveva visto nascere ognuno di loro e ne aveva contribuito all'istruzione, alla formazione. Di ognuno di loro serbava il ricordo e per ognuno di loro c'era nel suo cuore un angolo destinato all'amore che aveva provato e che ne aveva ricevuto. Un tesoro immenso che ogni giorno regalava alla sua lunga vita forza e fierezza.
Fu un abbraccio lungo e silenzioso.
Poi, Nonna Rosa, com'era conosciuta in quei giorni nella famiglia, si rialzò e, mentre con la mano detergeva la lacrima, entrò senza aggiungere una parola nella casa. I due la seguirono.
L'imbarazzo di Lodrago era palpabile, una volta dentro, si mise in un angolo, quasi non volesse ricordare alla donna la sua presenza, ma lei teneva i suoi occhi fissi su di lui.
Alla fine con voce esitante lui disse: « Ciao Rosa, quanto tempo... »
« Sono almeno quarant'anni che non ti fai vivo » Rispose lei di getto « se me ne fosse importato qualcosa, avrei pensato che fossi morto da un pezzo! »
« Già! » Rispose lui, la bocca completamente asciutta per l'emozione.
Paolino, intanto, osservava le schermaglie tra i due divertito: vedere una creatura antica come Alberto in imbarazzo come un ragazzino di quindici anni davanti al suo primo amore, era uno spettacolo che non avrebbe mai voluto perdersi.
« È successa una cosa molto grave. » disse, infine, il Lupo, interrompendo la catena di emozioni che teneva legati Alberto e Rosa. « il Principe è tornato e ha rapito Luca. » inutile perdere tempo in preamboli.
La stanza nella quale si trovavano era un piccolo salotto con angolo cottura e un vecchio tavolo di legno. La donna, nel sentire le tristi novità, si mise seduta su una delle quattro sedie, che, nonostante il poco peso di lei, scricchiolò tutta. Alberto rimase in piedi davanti a lei, immobile, mentre Paolino, si aggirava nervoso per la stanza, animale degli spazzi ampi, detestava essere chiuso in quella piccola casetta.
In quel momento la porta si spalancò e Carla irruppe nella stanza.
Si era svegliata pochi minuti prima e la sua meraviglia, nello scoprire che lo sconosciuto l'aveva portata dalla mamma di Bruno, fu tanta. Subito era scesa dal fuoristrada e si era precipitata alla casetta. Avvicinandosi, però, aveva sentito le voci provenire dall'interno e si era fermata davanti alla porta incerta sul da farsi. Così era andata alla finestra e il suo stupore nel vedere Paolino partecipare alla discussione e sentire la sua voce profonda mentre raccontava alla Nonna i particolari della sua fuga, quasi la fece uscire di testa. Poi una rabbia incredibile si impossesò del suo corpo. “In tutto questo tempo ho temuto che il mio bambino soffrisse di allucinazioni” pensava, mentre si avventava sulla porta: « Ora, uno di voi mi spiega cosa sta succedendo! » disse, il viso arrossato, con un tono che non ammetteva repliche.
A quel punto i tre si guardarono l'uno con l'altro e nei loro occhi traspariva il disappunto e la perplessità per aver lasciato che Carla si avvicinasse così tanto al loro segreto. Alberto le indicò una sedia e poi si mise seduto anche lui. Paolino raggiunse il divano di Rosa, vi saltò sopra e si accovacciò tranquillo, l'odore di lei, che impregnava il tessuto, lo faceva sentire a casa, poi era incerto su quanto Carla avesse sentito e preferiva defilarsi in un angolo.
« Dunque... » cominciò Alberto.
« no!, Non da lei, Lodrago. » lo interruppe subito Carla, « ma da lui! » disse indicando il Lupo, che faceva finta di dormire sul divano.
Al che Paolino emise un lungo e profondo sospiro: « da dove devo iniziare? » disse.
Per un istante la fermezza della mamma di Luca venne meno. “Allora è vero!” diceva dentro di se e il sollievo nello scoprire che suo figlio era sano di mente, riusciva a malapena a compensare la sensazione di assurdo che provava nello scoprire che il suo pastore tedesco parlava, “ forse la matta sono io”.
« voglio sapere tutto, fin dall'inizio! » cercava di mantenere la sua voce ferma, ma il tono troppo alto e un leggero tremito lasciavano trapelare l'incredibile incertezza che si era impossessata di lei.
Paolino guardò verso Alberto che fece un cenno affermativo con la testa, « è giusto » disse, « Carla deve sapere tutto » .
Allora si alzò, si mise a sedere e con voce ferma cominciò a raccontare.
Un fiume di parole uscì dalla bocca del Lupo, tutto l'universo di Carla, tutte le sue certezze venivano sconvolte, il mondo nel quale era convinta di vivere diventava estraneo e l'incredibile diventava parte di esso.
Quando Paolino terminò, le prime luci dell'alba facevano capolino dalle finestre della casa e il silenzio si protrasse per un tempo che sembrava infinito, mentre la povera donna assorbiva e cercava di accettare tutto ciò che aveva sentito.
Poi, Rosa si alzò e senza proferir parola mise il caffè sul fuoco. L'aroma della bevanda riempì la stanza e un gesto semplice, ripetuto migliaia di volte in tutte le case, riportò un po' di calma nei loro cuori eccitati.
« il tempo è poco » disse Alberto « io e Paolino dobbiamo andare » .
« si » , disse Carla, « riportatemi il mio bambino. Se questo Principe gli fa del male, io... » Per l'emozione le parole mancarono.
« Luca non è in pericolo » continuò Lodrago, « noi dobbiamo impedirgli di uccidere il Principe » .
Al che, Paolino lo fissò meravigliato.
« proprio tu che ben conosci la sua forza » disse il Drago guardandolo negli occhi, « non ti sei chiesto perché si sia lasciato catturare senza combattere? » .
« allora partiamo subito, potrebbe essere già troppo tardi! » disse il Lupo dirigendosi verso la porta.
Una volta fuori, Lodrago, riprese le sue maestose sembianze, il Lupo saltò sulla sua schiena e dispiegate le grandi ali, il Drago nero spiccò il volo verso Ovest.
Le due donne, che mai prima di allora avevano potuto vedere Alberto nel suo pieno aspetto rimasero sulla porta in silenzio.
Il mondo entrava in una nuova era.

martedì 30 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

IV Parte


Valutare correttamente la forza dell'avversario molte volte fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta, così, come Paolino e Alberto avevano sottovalutato l'astuzia di Guglielmo Guglielmi, ora lui, tratto in inganno dall'aspetto delicato del ragazzino che dormiva sulla barella nel retro dell'ambulanza, sottovalutava la forza e l'addestramento al quale era stato sottoposto fin da quando ancora non riusciva a compiere i primi passi. Perché Paolino e Alberto, ben consci del suo destino, erano entrati nella sua vita fin da subito e nel tempo gli avevano infuso tutta la forza e le conoscenze accumulate nei secoli della loro lunga vita. E questo sarebbe stato già sufficiente per fare di lui un guerriero di prima scelta, ma il Drago con lui aveva fatto qualcosa che mai prima era stato tentato, qualcosa che né Guglielmo, né il Principe suo padrone potevano immaginare, perché violava leggi antichissime e radicate anche nei cuori più duri.
Luca, non dormiva. Aveva passato ore a discutere con i suoi tutori di quale fosse la tattica migliore nel caso fosse stato catturato e a loro insaputa, nel segreto della sua mente, aveva cominciato a pensare ad un piano, un piano che ora stava seguendo.
Non aveva paura. Non temeva le creature del Principe. Aveva lasciato che lo rapissero e ora lasciava che lo pensassero svenuto sotto gli effetti dei farmaci. Aveva raggiunto uno stato di rilassamento Prana-Bindu profondissimo, il suo cuore aveva rallentato il battito e il respiro era leggerissimo. La muscolatura in questo stato era morbida e floscia, celava completamente la sua forza. La temperatura corporea si abbassava e la sudorazione cessava.
« Dottore » Disse una delle infermiere, « forse abbiamo esagerato col tranquillante, sembra morto. »
Guglielmi venne sul retro dell'ambulanza, un filo di preoccupazione attraversava i suoi pensieri, mise l'orecchio vicino alla bocca del ragazzo.
« no » , disse, « il respiro c'è » , appoggiò le dita della mano sul suo collo, « anche il battito, è solo profondamente addormentato » .
I sensi addestrati di Luca leggevano Guglielmo e i suoi scagnozzi come libri aperti, il tono della voce, del quale riusciva a cogliere le più piccole sfumature, il modo di toccarlo, la temperatura dei loro corpi, persino il loro odore, tutto permetteva al ragazzo di percepire i loro stati d'animo e attraverso questi di cogliere i loro pensieri. Sapeva che il suo piano stava procedendo bene e che nessuno di loro si aspettava quello che sarebbe successo. Dentro di lui era felice, ma profondamente risoluto nel raggiungere il suo obbiettivo.
Le ore passarono lentamente, l'ambulanza, che per non attirare l'attenzione procedeva a velocità ridotta, lasciata l'autostrada, aveva imboccato una provinciale stretta e tortuosa, che penetrava in profondità tra le colline del Cuneese. Verso mezzanotte si fermò davanti al cancello di ferro della clinica per malattie mentali “Villa Bazzi”. Due colpi di clacson e la pesante anta scorrevole si fece da parte. Due telecamere posizionate in cima ai pilastri del cancello seguirono il mezzo mentre entrava e percorreva il lungo viale che conduceva all'entrata di un vero e proprio castello.
Non si fermò davanti all'entrata principale, però, ma continuò fino alla rimessa nel retro. Là, due energumeni in camice bianco attendevano in silenzio. I corpi muscolosi compressi nei vestiti che sembravano sul punto di scoppiare dicevano chiaramente che i due bruti non erano abituati a portarli. Appena l'ambulanza fu ferma, il portello posteriore fu aperto e la portantina sulla quale era legato Luca, venne velocemente scaricata dalle due infermiere. I due si posizionarono sui fianchi e, seguito a ruota dal dottore, il piccolo corteo si precipitò in tutta fretta all'interno. Non rallentarono il passo fino a quando la grossa porta di acciaio della rimessa non fu chiusa alle loro spalle, il Drago era ancora in circolazione e temevano un suo attacco.
Condussero Luca nella camera di isolamento, una cella di quattro metri per quattro completamente imbottita per impedire ai pazienti di farsi del male, considerata a ragione la stanza più sicura dove tenere il prigioniero. Poi una volta adagiatolo sul materasso steso sul pavimento, anch'esso imbottito, lasciarono la stanza e si chiusero la porta alle spalle, solo allora Guglielmi si permise di tirare un sospiro di sollievo: “è fatta!” pensò. Mentre si recava a dare la notizia del successo al suo padrone sorrideva soddisfatto.
Neanche in gioventù, il Principe aveva avuto un carattere facile. E ogni secolo che passava diventava sempre più burbero e intrattabile. Durante la sua vita aveva toccato eccessi di crudeltà difficilmente immaginabili, ma ora che il raggiungimento del suo scopo si stava avvicinando, si era accorto di aver perso energia. La ferocia aveva lasciato il posto alla tristezza, alla solitudine. Il lunghissimo esilio a cui era stato condannato, forse stava per giungere al termine, ma troppi anni erano passati, era diventato vecchio. Ormai non c'era più la sete di potere a spingerlo a continuare, ma una questione di puntiglio, un principio che però ogni anno perdeva sempre di più il suo valore.
In quel momento era seduto nella sala della sicurezza della clinica, davanti a lui, alcuni schermi mostravano le camere vuote dei pazienti, mostravano il Dottor Guglielmi mentre percorreva il lungo corridoio per venire a vantare le sue gesta, mostravano un ragazzino di dodici anni che lentamente si risvegliava dal torpore causato dai calmanti. Avrebbe dovuto odiare quel ragazzino, disprezzarlo, ma ormai questi sentimenti si erano affievoliti nel suo petto, nulla li aveva sostituiti, non provava nulla.
« Principe! Ce l'abbiamo fatta! » Guglielmi piombò nella stanza senza nemmeno bussare.
« Fuori di qui! » rispose il Principe con voce dura « non osare mai più presentarti a me in un modo simile! » per il gaglioffo fu come ricevere una doccia gelata, rimase immobile con la bocca spalancata e la maniglia della porta ancora stretta in mano. « Ora vattene! » .
Lentamente il Dottore si chiuse la porta alle spalle e una volta uscito, il Principe tornò a rivolgere la sua attenzione al ragazzo, cercava qualcosa nel suo cuore, odio, rabbia, qualcosa che lo spingesse ad agire, qualcosa che lo facesse sentire di nuovo vivo, ma non trovava nulla.
Intanto Luca decise che era ora di smettere di far finta di dormire. Lentamente uscì dalla trans autoindotta in cui si era rifugiato e le funzioni del suo corpo tornarono gradatamente allo stato naturale. Aprì gli occhi e dopo qualche minuto si mise a sedere sul materasso. Esaminò la stanza, ma non vi trovò niente che potesse essergli utile. L'odore al suo interno gli trasmetteva la paura delle persone che vi erano state rinchiuse e questo non gli piaceva, non gli permetteva di pensare lucidamente. Sapeva di essere prigioniero, ma sapeva anche che il suo avversario non conosceva la sua reale forza. Inoltre la sua fiducia nei confronti del Drago e di Paolino era totale. Anche se aveva visto catturare il Lupo, era certo che in quel momento fosse già libero e stesse precipitandosi in suo soccorso. Il suo piano doveva continuare, il dolore per la perdita di suo padre lo aveva spinto a organizzare la sua vendetta e non si sarebbe fermato davanti a niente.
Si dispose ad attendere. Prima o poi il Principe lo avrebbe chiamato in suo cospetto e allora si sarebbe reso conto dell'enorme errore che aveva commesso nel toccare la sua famiglia.
Mettendo la mano nella tasca vi trovò la sua amata pallina di gomma, si mise a lanciarla contro la parete, l'imbottitura ne assorbiva l'energia e la pallina rimbalzava male.
Lentamente la lancetta dei minuti percorreva il quadrante, un giro dopo l'altro e la pallina andava e veniva dalla mano alla parete, dalla parete alla mano; poi all'alba i tre catenacci che la sbarravano vennero sollevati e la porta si aprì.

sabato 27 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

III Parte


“Gli uomini sono inaffidabili, ma facili da manovrare” il Dottor Guglielmi rimuginava sulla perfetta riuscita del piano, i suoi Lupi non avrebbero potuto portare a termine il rapimento in pieno giorno e di notte con Paolino e il Drago in giro l'attacco era impensabile. Lui e il Grigio ben sapevano quali fossero la forza e la determinazione dei due durante un combattimento. L'unica sua preoccupazione era la sorte del Lupo, per stare col bambino non aveva potuto seguire personalmente la sua cattura che era stata compiuta dai ceffi del canile, ma gli ordini erano stati chiari, doveva essere rinchiuso in una gabbia molto robusta e tenuto sotto sedativi, lui, appena portato il moccioso alla clinica, sarebbe tornato e col Grigio si sarebbero presi la loro vendetta. Un sorriso malevolo e ferocie passò sul suo viso e per un secondo la sua vera natura animale venne alla luce, subito però riprese il controllo e quando si rivolse all'autista dell'ambulanza la figura gentile del dottore aveva ripreso il suo pieno aspetto: « quanto tempo ancora? »
« Con questo traffico e la strada che sembra bombardata ci vorranno tre ore » grugnì lo scagnozzo.
A quel punto gli occhi di Guglielmi si posarono sul fanciullo addormentato, “Dormi, bambino mio” pensò “ domani incontrerai il tuo nuovo padrone, non è tanto meravigliosa e varia la vita?”.
A molti chilometri di distanza, intanto, Paolino cominciava a riprendere coscienza. Il corpo intorpidito si rifiutava di obbedire ai suoi ordini, ma la mente era tornata lucida e gli occhi roteavano a destra e a sinistra fulminei per cercare di capire se ci fosse una via di fuga. Da quel che riusciva a vedere, si trovava nel retro di un furgone, quindi non erano ancora arrivati a destinazione, la gabbia nella quale era rinchiuso non era molto robusta, lui ne aveva conosciute con sbarre ben più spesse. I due accalappia cani se ne stavano tranquilli davanti, convinti che la dose da cavallo di tranquillante che gli avevano sparato in corpo fosse sufficiente per far dormire un cane per almeno una settimana, ma Paolino non era un cane. Nel lontano passato la sua forza era leggendaria e molti solo a sentire il suo nome se la facevano sotto. Poi, quando il Drago, dopo la terribile battaglia tra i due, invece che dargli il colpo di grazia, aveva curato le sue ferite e per tenerlo in vita gli aveva trasfuso parte del suo sangue, allora Paolino era divenuto ancora più potente.
Nel giro di una mezz'ora un formicolio fastidioso cominciò ad invadere il suo corpo, segno che il farmaco stava perdendo di efficacia, le zampe posteriori cominciavano a rispondere e passati pochi minuti il tentativo di alzarsi, riuscì. Quando il furgone fece il suo ingresso nel cortile del canile, nel suo retro, invece di un dolce agnello addormentato, c'era un Lupo forte ed arrabbiato, preoccupato per il suo pupillo, deciso a farsi strada combattendo fino alla fine delle sue forze per liberarlo. Quando i due gaglioffi aprirono il portello del mezzo, lui diede un calcio con le zampe posteriori allo sportello della gabbia, il lucchetto cedette subito con uno schianto tale da sembrare una fucilata e prima ancora che i due capissero che cosa stava succedendo, Paolino con un balzo raggiunse il centro del piazzale, pronto al combattimento, la sua meraviglia fu tanta quanta quella dei due uomini nello scoprire che nessuno del branco era la fuori ad attenderlo, lo avevano sottovalutato fino a quel punto?
Intanto la notte era sopraggiunta, i due uomini presi dal panico si erano chiusi nel furgone terrorizzati. Paolino rimase solo nel piazzale. A quel punto i latrati dei cani prigionieri risvegliati dal fracasso della sua fuga, coprivano ogni altro suono, ma l'olfatto del Lupo non poteva sbagliare, nella boscaglia intorno al canile, il branco si era riunito ad attenderlo, quando fosse uscito dal riparo del cortile lo avrebbero attaccato. Paolino non temeva la loro superiorità numerica, ma per salvare Luca non poteva perdere tempo in un combattimento, inoltre temeva di riportare ferite che avrebbero rallentato la sua corsa. Allora il suo interesse si indirizzò al capannone dove erano rinchiusi gli altri animali, si precipitò al suo interno e con poche e potenti zampate fece saltare tutti i lucchetti alle gabbie. I cani però spaventati dalle dimensioni del lupo non osavano avventurarsi fuori, allora paolino si mise a gridare: « tutti fuori bastardi che non siete altro, via di qua! Siete liberi! » questi allora spinti più dalla paura che dallo spirito di sopravvivenza si riversarono tutti insieme fuori dalle gabbie e in un gruppo compatto, usciti dal capannone e attraversato il cortile, si buttarono in strada.
Quando il Branco si avvide di tutta quella confusione, i lupi rivolsero lo sguardo verso il loro capo, in attesa di ordini, ma Il Grigio colto alla sprovvista esitò, questo bastò a Paolino, la calca e la polvere lo nascosero. In pochi secondi Il Grigio riprese il controllo: cominciò a urlare i suoi ordini, i lupi si buttarono nel cortile, poi perquisirono tutto il canile. Quando realizzarono che Paolino era riuscito a fuggire passando sotto i loro nasi, ormai lui era lontano un paio di chilometri, lanciato in una corsa folle in mezzo alla campagna.
« Ho conosciuto Bruno molti anni fa, durante un viaggio a Bora Bora » diceva Alberto. Intanto conduceva il grosso fuoristrada tedesco di Carla in una veloce corsa in mezzo alle stradine di campagna della pianura lodigiana.
« Due mesi fa mi scrisse una lettera, era preoccupato per la propria incolumità e mi chiedeva di tenere d'occhio la sua famiglia durante il suo viaggio di ritorno » .
A quel punto l'attenzione di Carla, che fino a quel momento era indirizzata solo alla striscia di asfalto che scorreva veloce sotto il cofano della macchina, si rivolse al viso di quell'uomo. Non riusciva a capire perché suo marito l'avesse mandato da loro. I fatti di quel giorno mettevano la sua sparizione sotto una nuova luce e la paura per il suo bambino tornò prepotentemente a riempire il suo cuore.
« Perché? » Fu tutto ciò che riuscì a dire.
« La famiglia Guerriero custodisce da molte generazioni un antico segreto. Qualcosa che uomini molto crudeli cercano, ma che assolutamente non dovranno mai trovare » nel dire quelle parole Lodrago usava la sua voce suadente e vellutata per riportare la calma nell'animo della donna.
« Un segreto che nelle mani di chi ha rapito suo figlio può sovvertire l'ordine del mondo intero » , gli occhi di Carla si socchiusero e lei cadde in un sonno profondo ma ristoratore.
A quel punto Alberto poté spostare tutta la sua attenzione alla guida del fuoristrada, che sotto il suo controllo aumentò ancora di più la velocità, sembrava volare tra una curva e l'altra e forse lo fece.
I minuti passavano veloci, quando la sua vista acutissima colse lontano tra gli alberi una sagoma nera che ben conosceva, subito, con un colpo deciso di sterzo, costrinse l'auto a buttarsi a sinistra per tagliare nella campagna. Se fosse stato abbastanza veloce sarebbe riuscito a tagliare la strada al Lupo che correva verso casa. Ma questi, vista e riconosciuta la macchina di Carla, rallentò il passo per permetterle di raggiungerlo. Quando si avvide di chi era alla guida si fermò, un ghigno di soddisfazione sulle labbra.
« Mister Lodrago, è un piacere rivederla, da molto tempo non ci si incontrava. » Disse ad Alberto, dopo che questi, fermata l'auto, ne discese.
« Comandante Paolino, è destino che ci si veda sempre in tristi occasioni » L'uomo si avvicinò sorridente al Lupo, lo avrebbe abbracciato per la gioia e il sollievo di rivederlo incolume, ma questo non si addiceva a due combattenti come loro.
L'attenzione di Paolino si spostò al fuoristrada e alla donna addormentata sul sedile anteriore.
« Che ci fa lei qui? » Chiese.
« Guglielmo ha commesso un errore a non rapire anche lei. Un senza famiglia come lui non ha capito che arma sarebbe stata in mano sua, la mamma di Luca. Non potevo lasciarla. Quando il Principe lo scoprirà, andrà su tutte le furie e di sicuro la manderà a riprendere. » Disse Alberto.
« Già, ma ora dobbiamo trovarle un posto sicuro. » mentre parlava, Paolino si guardava intorno, cercando di cogliere tutti i suoni e gli odori del bosco, per capire se gli inseguitori stessero arrivando.
« non abbiamo più tempo, salta in macchina » disse Lodrago, « vecchi amici arrivano per la colazione, ma io adesso non ho fame. » Detto questo i due corsero al fuoristrada che sgommando partì veloce.
« la vecchia strega è ancora viva? » chiese Alberto, tutto assorto nella guida.
« nemmeno il diavolo può prendersela! » rispose il Lupo, ma nonostante le parole dure, un moto di affetto era celato nel tono della sua voce.