giovedì 8 aprile 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

VI Parte

La porta si spalancò e due energumeni in camice bianco entrarono nella cella. Erano stati avvertiti di non sottovalutare la forza e l'astuzia di Luca, ma guardando il ragazzino non potevano fare a meno di chiedersi se con l'età Guglielmo non si fosse rammollito.
Comunque Luca non aveva intenzione di sferrare il suo attacco in quel momento, una delle prime cose che il Lupo gli aveva insegnato era stata quella di valutare le forze del suo avversario e di osservare il terreno dello scontro.
« tieni occhi e orecchi ben aperti! Studia il terreno, assorbi le sue caratteristiche, il suo odore. Cerca di conoscere i tuoi avversari, tra di loro si cela sempre un anello debole, approfittane. »
Il ricordo delle parole di Paolino lo aiutava a mantenere il controllo, mentre seguiva senza fiatare i due carcerieri attraverso i corridoi che lo portavano dal suo aguzzino.
« Guglielmo si è proprio rammollito! » diceva uno dei due e la sua risata risuonava nelle grandi stanze vuote.
« Attento a quello che dici... » lo ammoniva l'altro « se il Principe dovesse sentirti... » .
« Quel caro vecchietto? » continuava il primo ormai pieno di presunzione, « se prova a dirmi qualcosa, gli do una carezza sulla schiena che lo spezzo in due! » e scoppiava in un'altra risata.
Luca ascoltava. Tra gli uomini del Principe serpeggiava il malcontento.
Ovunque nella clinica si potevano scorgere i segni dell'incuria e dell'abbandono, l'odore di vecchio era ovunque. L'ultimo paziente era stato dimesso molti anni prima, ma il tanfo della paura e della pazzia impregnava le mura ammuffite, corrodeva gli animi delle persone, ne minava la volontà. Quello che sembrava un ottimo rifugio per nascondere le attività maligne del Principe, ne avrebbe accelerato la rovina.
Luca si rendeva conto, ancora prima di incontrarlo, che l'antico nemico del Drago era già sconfitto, il tempo era stato suo giudice, lui ora sarebbe stato il suo carnefice.
Il percorso fu lungo e ci volle quasi mezz'ora per arrivare nelle stanze del padrone del castello.
Il Principe aveva deciso di incontrare il suo ospite nella grande sala dei ricevimenti.
In origine, quando il palazzo fu costruito, questa, riccamente addobbata, era luogo di banchetti e feste sfarzose, ma, poi, con la trasformazione del castello in clinica, era diventata la sala mensa. Accanto a finiture baroccheggianti ed ad affreschi dal carattere spiccatamente bucolico, raffiguranti la famiglia del vecchio proprietario, si trovavano, in evidente stato di abbandono, i banchi del self service e un po' ovunque tavoli e sedie ammucchiati in malo modo. In mezzo a tutto questo, proprio nel centro della sala, era stata montata una pedana di legno ricoperta da un vecchio tappeto ammuffito, e sopra di esso, un grande sedia in legno con rifiniture dorate e seduta in velluto rosso. Rannicchiato sopra quel trono scricchiolante e fatiscente, l'uomo che per secoli aveva tenuto sotto scacco tutto il mondo conosciuto. Il signore della guerra. L'acerrimo nemico, per combattere il quale, Luca aveva passato tutti gli anni della sua infanzia ad essere preparato.
“Puzza di morte”, il pensiero aveva attraversato la mente di Luca appena entrato nella stanza.
Venne scortato fin davanti al trono della corte dei miracoli, il Principe lo osservava dallo scranno in silenzio, gli occhi, forse l'unica cosa che sembrava ancora viva in quel corpo avvizzito, puntati dritti su di lui.
Luca, conscio dell'esame a cui veniva sottoposto, stava immobile, gli occhi, a sua volta, fissi sul Principe. Lasciava che da essi trapelasse, non l'odio, ma la pietà per quel potente decaduto.
In un primo momento, Sua Maestà rimase stupito da quello che vedeva: era preparato alla paura, invece si trovava davanti la sfida e la pietà. Allora fu preso da un moto d'ira, il suo orgoglio ferito, e, finalmente, quella scintilla di vita che aveva cercato nel suo cuore per tutta la notte, esplose dentro di lui. Gli occhi fiammeggianti, si alzò in piedi, e con voce stentorea: « Come osi? » , al che il ragazzino per niente spaventato rispose: « Sei già morto da secoli » .
Il Principe, dimentico dell'importanza di Luca per i suoi piani di rivalsa, scattò in avanti, il suo corpo sembrava letteralmente gonfiarsi sotto la spinta della sua rabbia, le sue dimensioni aumentarono e nel tempo di un batter di ciglia, assunse la sua forma originaria, che per secoli era stata sepolta nell'oblio della sconfitta. Quando piombò sul corpo del ragazzo, il gigantesco Drago Rosso era tornato.
Luca, risultato di secoli di selezione e preparazione portati avanti da Alberto e da Paolino, non fu colto impreparato. I suoi sensi accelerati gli permettevano di guardare il Drago avventarsi su di lui come al rallentatore, poteva vederne i muscoli tesi, le arterie gonfie, lo sguardo pieno di rabbia, poteva sentirne il battito del cuore, coglierne il respiro e tutto questo nel lampo di tempo che fu necessario al mostro per avventarsi su di lui. Lasciò, allora, che tutta la forza e l'energia imbrigliate nel suo corpo fluissero liberamente e qualcosa di inimmaginabile successe.
L'uomo divenne Drago.
Il tabù che aveva resistito per milioni di anni era stato infranto.
Un'istante prima dello scontro tra i due giganteschi corpi, la scintilla di consapevolezza di quanto era stato tentato dal Drago Nero, attraversò la coscienza del Principe Rosso, il suo ultimo pensiero, prima di rovinare addosso a Luca fu: “Pazzo! Che cosa hai fatto?”.
Il giovane e forte Drago Bianco, fermò la corsa del suo avversario col proprio corpo, poi con un movimento rapidissimo, ne prese il collo tra le fauci e questo, stretto in una morsa irresistibile, si spezzò. La vita del Principe fuggì in un lungo sospiro, la morte arrivò a portare il sollievo troppo a lungo rinviato.
Nell'istante del trapasso, tra i due corpi avvinghiati successe una magia. Qualcosa alla quale Luca non era pronto, perché solo i draghi originari più antichi ne erano a conoscenza e Alberto ne aveva serbato il segreto.
Una scarica di energia unì le due menti, e tutti i ricordi e le esperienze secolari del Drago morente e di tutti i Draghi da lui uccisi e, ancora, di tutti i Draghi periti nelle numerose battaglie di questo antico popolo immortale, si riversarono nella mente di Luca.
Impreparato a ricevere una così incredibile messe di informazioni, perse i sensi e cadde proprio sul fianco del cadavere del suo avversario. Il suo aspetto riprese forma umana.
In un attimo tutto fu finito. Gli scagnozzi del Principe, viste le sue vere sembianze si erano dati alla fuga terrorizzati, l'unico rimasto nella sala ad assistere alla sconfitta del suo padrone fu Guglielmo.
Immobile in un angolo, gli occhi vitrei per lo stupore, la volontà fuggita dal suo corpo come la vita da quello del suo Signore. Poi lentamente si riprese. Si avvicinò al corpo del ragazzo svenuto, estrasse un coltello affilatissimo dalla fondina, che teneva celata alla caviglia, lo appoggiò alla sua gola. Se avesse portato a termine quello che si era prefissato, la sua vendetta sarebbe stata compiuta e la faida sanguinaria sarebbe stata chiusa. Avrebbe potuto tornare a casa, ammesso che la sua casa fosse ancora esistita. Ma in quel momento il pensiero del potere immenso del ragazzo attraversò la sua mente e si rese conto che adeguatamente manovrato sarebbe stata un'arma invincibile in suo possesso. Forse insieme avrebbero potuto riprendersi l'antico regno.
Ripose il coltello e raccolto il corpo di Luca dal pavimento se lo mise in spalla. Raggiunta l'ambulanza nella rimessa, si mise alla guida. Attraversato il viale, uscì dal cancello di ferro e diretto il mezzo a destra, imboccò la strada che si addentrava ancora più in profondità tra le colline boscose e disabitate.
Ora il destino del mondo era in mano sua.

sabato 3 aprile 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

V Parte

Quando il fuoristrada si fermò, erano passate le due del mattino, Alberto e Paolino lasciarono Carla profondamente addormentata e si incamminarono per il sentiero che conduceva alla piccola casetta sul fianco della collina, proprio in mezzo ad una radura completamente circondata dal bosco di castani.
Arrivati davanti all'entrata, esitarono.
Proprio in quel momento la porta si aprì e la figura piccola e magra di una vecchia signora si affacciò all'uscio. Gli occhi di lei guardarono con durezza Lodrago, ma quando si posarono su Paolino un'immensa dolcezza vi apparve e una lacrima fece capolino sulla sua guancia. Si chinò su di lui e lo abbraccio. Il muso duro del Lupo si raddolcì immediatamente e tutto il suo corpo si afflosciò tra le braccia della donna.
« La mia piccola Rosa » , disse con un moto di affetto incredibile in un vecchio duro come lui.
I ricordi si riversarono dentro di suo corpo come le acque del torrente in piena, gonfiate dal temporale estivo. I Giorni passati a contemplare il piccolo corpicino della splendida neonata, i suoi primi vagiti, il suo odore, un mix di lozioni profumate e latte. La sua fanciullezza, l'adolescenza e il suo divenire donna. Tutta una vita trascorsa al suo fianco, due esseri, un solo cuore.
Da secoli, Paolino condivideva la sua vita con quella dei membri di questa famiglia, ne era la memoria storica vivente, aveva visto nascere ognuno di loro e ne aveva contribuito all'istruzione, alla formazione. Di ognuno di loro serbava il ricordo e per ognuno di loro c'era nel suo cuore un angolo destinato all'amore che aveva provato e che ne aveva ricevuto. Un tesoro immenso che ogni giorno regalava alla sua lunga vita forza e fierezza.
Fu un abbraccio lungo e silenzioso.
Poi, Nonna Rosa, com'era conosciuta in quei giorni nella famiglia, si rialzò e, mentre con la mano detergeva la lacrima, entrò senza aggiungere una parola nella casa. I due la seguirono.
L'imbarazzo di Lodrago era palpabile, una volta dentro, si mise in un angolo, quasi non volesse ricordare alla donna la sua presenza, ma lei teneva i suoi occhi fissi su di lui.
Alla fine con voce esitante lui disse: « Ciao Rosa, quanto tempo... »
« Sono almeno quarant'anni che non ti fai vivo » Rispose lei di getto « se me ne fosse importato qualcosa, avrei pensato che fossi morto da un pezzo! »
« Già! » Rispose lui, la bocca completamente asciutta per l'emozione.
Paolino, intanto, osservava le schermaglie tra i due divertito: vedere una creatura antica come Alberto in imbarazzo come un ragazzino di quindici anni davanti al suo primo amore, era uno spettacolo che non avrebbe mai voluto perdersi.
« È successa una cosa molto grave. » disse, infine, il Lupo, interrompendo la catena di emozioni che teneva legati Alberto e Rosa. « il Principe è tornato e ha rapito Luca. » inutile perdere tempo in preamboli.
La stanza nella quale si trovavano era un piccolo salotto con angolo cottura e un vecchio tavolo di legno. La donna, nel sentire le tristi novità, si mise seduta su una delle quattro sedie, che, nonostante il poco peso di lei, scricchiolò tutta. Alberto rimase in piedi davanti a lei, immobile, mentre Paolino, si aggirava nervoso per la stanza, animale degli spazzi ampi, detestava essere chiuso in quella piccola casetta.
In quel momento la porta si spalancò e Carla irruppe nella stanza.
Si era svegliata pochi minuti prima e la sua meraviglia, nello scoprire che lo sconosciuto l'aveva portata dalla mamma di Bruno, fu tanta. Subito era scesa dal fuoristrada e si era precipitata alla casetta. Avvicinandosi, però, aveva sentito le voci provenire dall'interno e si era fermata davanti alla porta incerta sul da farsi. Così era andata alla finestra e il suo stupore nel vedere Paolino partecipare alla discussione e sentire la sua voce profonda mentre raccontava alla Nonna i particolari della sua fuga, quasi la fece uscire di testa. Poi una rabbia incredibile si impossesò del suo corpo. “In tutto questo tempo ho temuto che il mio bambino soffrisse di allucinazioni” pensava, mentre si avventava sulla porta: « Ora, uno di voi mi spiega cosa sta succedendo! » disse, il viso arrossato, con un tono che non ammetteva repliche.
A quel punto i tre si guardarono l'uno con l'altro e nei loro occhi traspariva il disappunto e la perplessità per aver lasciato che Carla si avvicinasse così tanto al loro segreto. Alberto le indicò una sedia e poi si mise seduto anche lui. Paolino raggiunse il divano di Rosa, vi saltò sopra e si accovacciò tranquillo, l'odore di lei, che impregnava il tessuto, lo faceva sentire a casa, poi era incerto su quanto Carla avesse sentito e preferiva defilarsi in un angolo.
« Dunque... » cominciò Alberto.
« no!, Non da lei, Lodrago. » lo interruppe subito Carla, « ma da lui! » disse indicando il Lupo, che faceva finta di dormire sul divano.
Al che Paolino emise un lungo e profondo sospiro: « da dove devo iniziare? » disse.
Per un istante la fermezza della mamma di Luca venne meno. “Allora è vero!” diceva dentro di se e il sollievo nello scoprire che suo figlio era sano di mente, riusciva a malapena a compensare la sensazione di assurdo che provava nello scoprire che il suo pastore tedesco parlava, “ forse la matta sono io”.
« voglio sapere tutto, fin dall'inizio! » cercava di mantenere la sua voce ferma, ma il tono troppo alto e un leggero tremito lasciavano trapelare l'incredibile incertezza che si era impossessata di lei.
Paolino guardò verso Alberto che fece un cenno affermativo con la testa, « è giusto » disse, « Carla deve sapere tutto » .
Allora si alzò, si mise a sedere e con voce ferma cominciò a raccontare.
Un fiume di parole uscì dalla bocca del Lupo, tutto l'universo di Carla, tutte le sue certezze venivano sconvolte, il mondo nel quale era convinta di vivere diventava estraneo e l'incredibile diventava parte di esso.
Quando Paolino terminò, le prime luci dell'alba facevano capolino dalle finestre della casa e il silenzio si protrasse per un tempo che sembrava infinito, mentre la povera donna assorbiva e cercava di accettare tutto ciò che aveva sentito.
Poi, Rosa si alzò e senza proferir parola mise il caffè sul fuoco. L'aroma della bevanda riempì la stanza e un gesto semplice, ripetuto migliaia di volte in tutte le case, riportò un po' di calma nei loro cuori eccitati.
« il tempo è poco » disse Alberto « io e Paolino dobbiamo andare » .
« si » , disse Carla, « riportatemi il mio bambino. Se questo Principe gli fa del male, io... » Per l'emozione le parole mancarono.
« Luca non è in pericolo » continuò Lodrago, « noi dobbiamo impedirgli di uccidere il Principe » .
Al che, Paolino lo fissò meravigliato.
« proprio tu che ben conosci la sua forza » disse il Drago guardandolo negli occhi, « non ti sei chiesto perché si sia lasciato catturare senza combattere? » .
« allora partiamo subito, potrebbe essere già troppo tardi! » disse il Lupo dirigendosi verso la porta.
Una volta fuori, Lodrago, riprese le sue maestose sembianze, il Lupo saltò sulla sua schiena e dispiegate le grandi ali, il Drago nero spiccò il volo verso Ovest.
Le due donne, che mai prima di allora avevano potuto vedere Alberto nel suo pieno aspetto rimasero sulla porta in silenzio.
Il mondo entrava in una nuova era.

martedì 30 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

IV Parte


Valutare correttamente la forza dell'avversario molte volte fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta, così, come Paolino e Alberto avevano sottovalutato l'astuzia di Guglielmo Guglielmi, ora lui, tratto in inganno dall'aspetto delicato del ragazzino che dormiva sulla barella nel retro dell'ambulanza, sottovalutava la forza e l'addestramento al quale era stato sottoposto fin da quando ancora non riusciva a compiere i primi passi. Perché Paolino e Alberto, ben consci del suo destino, erano entrati nella sua vita fin da subito e nel tempo gli avevano infuso tutta la forza e le conoscenze accumulate nei secoli della loro lunga vita. E questo sarebbe stato già sufficiente per fare di lui un guerriero di prima scelta, ma il Drago con lui aveva fatto qualcosa che mai prima era stato tentato, qualcosa che né Guglielmo, né il Principe suo padrone potevano immaginare, perché violava leggi antichissime e radicate anche nei cuori più duri.
Luca, non dormiva. Aveva passato ore a discutere con i suoi tutori di quale fosse la tattica migliore nel caso fosse stato catturato e a loro insaputa, nel segreto della sua mente, aveva cominciato a pensare ad un piano, un piano che ora stava seguendo.
Non aveva paura. Non temeva le creature del Principe. Aveva lasciato che lo rapissero e ora lasciava che lo pensassero svenuto sotto gli effetti dei farmaci. Aveva raggiunto uno stato di rilassamento Prana-Bindu profondissimo, il suo cuore aveva rallentato il battito e il respiro era leggerissimo. La muscolatura in questo stato era morbida e floscia, celava completamente la sua forza. La temperatura corporea si abbassava e la sudorazione cessava.
« Dottore » Disse una delle infermiere, « forse abbiamo esagerato col tranquillante, sembra morto. »
Guglielmi venne sul retro dell'ambulanza, un filo di preoccupazione attraversava i suoi pensieri, mise l'orecchio vicino alla bocca del ragazzo.
« no » , disse, « il respiro c'è » , appoggiò le dita della mano sul suo collo, « anche il battito, è solo profondamente addormentato » .
I sensi addestrati di Luca leggevano Guglielmo e i suoi scagnozzi come libri aperti, il tono della voce, del quale riusciva a cogliere le più piccole sfumature, il modo di toccarlo, la temperatura dei loro corpi, persino il loro odore, tutto permetteva al ragazzo di percepire i loro stati d'animo e attraverso questi di cogliere i loro pensieri. Sapeva che il suo piano stava procedendo bene e che nessuno di loro si aspettava quello che sarebbe successo. Dentro di lui era felice, ma profondamente risoluto nel raggiungere il suo obbiettivo.
Le ore passarono lentamente, l'ambulanza, che per non attirare l'attenzione procedeva a velocità ridotta, lasciata l'autostrada, aveva imboccato una provinciale stretta e tortuosa, che penetrava in profondità tra le colline del Cuneese. Verso mezzanotte si fermò davanti al cancello di ferro della clinica per malattie mentali “Villa Bazzi”. Due colpi di clacson e la pesante anta scorrevole si fece da parte. Due telecamere posizionate in cima ai pilastri del cancello seguirono il mezzo mentre entrava e percorreva il lungo viale che conduceva all'entrata di un vero e proprio castello.
Non si fermò davanti all'entrata principale, però, ma continuò fino alla rimessa nel retro. Là, due energumeni in camice bianco attendevano in silenzio. I corpi muscolosi compressi nei vestiti che sembravano sul punto di scoppiare dicevano chiaramente che i due bruti non erano abituati a portarli. Appena l'ambulanza fu ferma, il portello posteriore fu aperto e la portantina sulla quale era legato Luca, venne velocemente scaricata dalle due infermiere. I due si posizionarono sui fianchi e, seguito a ruota dal dottore, il piccolo corteo si precipitò in tutta fretta all'interno. Non rallentarono il passo fino a quando la grossa porta di acciaio della rimessa non fu chiusa alle loro spalle, il Drago era ancora in circolazione e temevano un suo attacco.
Condussero Luca nella camera di isolamento, una cella di quattro metri per quattro completamente imbottita per impedire ai pazienti di farsi del male, considerata a ragione la stanza più sicura dove tenere il prigioniero. Poi una volta adagiatolo sul materasso steso sul pavimento, anch'esso imbottito, lasciarono la stanza e si chiusero la porta alle spalle, solo allora Guglielmi si permise di tirare un sospiro di sollievo: “è fatta!” pensò. Mentre si recava a dare la notizia del successo al suo padrone sorrideva soddisfatto.
Neanche in gioventù, il Principe aveva avuto un carattere facile. E ogni secolo che passava diventava sempre più burbero e intrattabile. Durante la sua vita aveva toccato eccessi di crudeltà difficilmente immaginabili, ma ora che il raggiungimento del suo scopo si stava avvicinando, si era accorto di aver perso energia. La ferocia aveva lasciato il posto alla tristezza, alla solitudine. Il lunghissimo esilio a cui era stato condannato, forse stava per giungere al termine, ma troppi anni erano passati, era diventato vecchio. Ormai non c'era più la sete di potere a spingerlo a continuare, ma una questione di puntiglio, un principio che però ogni anno perdeva sempre di più il suo valore.
In quel momento era seduto nella sala della sicurezza della clinica, davanti a lui, alcuni schermi mostravano le camere vuote dei pazienti, mostravano il Dottor Guglielmi mentre percorreva il lungo corridoio per venire a vantare le sue gesta, mostravano un ragazzino di dodici anni che lentamente si risvegliava dal torpore causato dai calmanti. Avrebbe dovuto odiare quel ragazzino, disprezzarlo, ma ormai questi sentimenti si erano affievoliti nel suo petto, nulla li aveva sostituiti, non provava nulla.
« Principe! Ce l'abbiamo fatta! » Guglielmi piombò nella stanza senza nemmeno bussare.
« Fuori di qui! » rispose il Principe con voce dura « non osare mai più presentarti a me in un modo simile! » per il gaglioffo fu come ricevere una doccia gelata, rimase immobile con la bocca spalancata e la maniglia della porta ancora stretta in mano. « Ora vattene! » .
Lentamente il Dottore si chiuse la porta alle spalle e una volta uscito, il Principe tornò a rivolgere la sua attenzione al ragazzo, cercava qualcosa nel suo cuore, odio, rabbia, qualcosa che lo spingesse ad agire, qualcosa che lo facesse sentire di nuovo vivo, ma non trovava nulla.
Intanto Luca decise che era ora di smettere di far finta di dormire. Lentamente uscì dalla trans autoindotta in cui si era rifugiato e le funzioni del suo corpo tornarono gradatamente allo stato naturale. Aprì gli occhi e dopo qualche minuto si mise a sedere sul materasso. Esaminò la stanza, ma non vi trovò niente che potesse essergli utile. L'odore al suo interno gli trasmetteva la paura delle persone che vi erano state rinchiuse e questo non gli piaceva, non gli permetteva di pensare lucidamente. Sapeva di essere prigioniero, ma sapeva anche che il suo avversario non conosceva la sua reale forza. Inoltre la sua fiducia nei confronti del Drago e di Paolino era totale. Anche se aveva visto catturare il Lupo, era certo che in quel momento fosse già libero e stesse precipitandosi in suo soccorso. Il suo piano doveva continuare, il dolore per la perdita di suo padre lo aveva spinto a organizzare la sua vendetta e non si sarebbe fermato davanti a niente.
Si dispose ad attendere. Prima o poi il Principe lo avrebbe chiamato in suo cospetto e allora si sarebbe reso conto dell'enorme errore che aveva commesso nel toccare la sua famiglia.
Mettendo la mano nella tasca vi trovò la sua amata pallina di gomma, si mise a lanciarla contro la parete, l'imbottitura ne assorbiva l'energia e la pallina rimbalzava male.
Lentamente la lancetta dei minuti percorreva il quadrante, un giro dopo l'altro e la pallina andava e veniva dalla mano alla parete, dalla parete alla mano; poi all'alba i tre catenacci che la sbarravano vennero sollevati e la porta si aprì.

sabato 27 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

III Parte


“Gli uomini sono inaffidabili, ma facili da manovrare” il Dottor Guglielmi rimuginava sulla perfetta riuscita del piano, i suoi Lupi non avrebbero potuto portare a termine il rapimento in pieno giorno e di notte con Paolino e il Drago in giro l'attacco era impensabile. Lui e il Grigio ben sapevano quali fossero la forza e la determinazione dei due durante un combattimento. L'unica sua preoccupazione era la sorte del Lupo, per stare col bambino non aveva potuto seguire personalmente la sua cattura che era stata compiuta dai ceffi del canile, ma gli ordini erano stati chiari, doveva essere rinchiuso in una gabbia molto robusta e tenuto sotto sedativi, lui, appena portato il moccioso alla clinica, sarebbe tornato e col Grigio si sarebbero presi la loro vendetta. Un sorriso malevolo e ferocie passò sul suo viso e per un secondo la sua vera natura animale venne alla luce, subito però riprese il controllo e quando si rivolse all'autista dell'ambulanza la figura gentile del dottore aveva ripreso il suo pieno aspetto: « quanto tempo ancora? »
« Con questo traffico e la strada che sembra bombardata ci vorranno tre ore » grugnì lo scagnozzo.
A quel punto gli occhi di Guglielmi si posarono sul fanciullo addormentato, “Dormi, bambino mio” pensò “ domani incontrerai il tuo nuovo padrone, non è tanto meravigliosa e varia la vita?”.
A molti chilometri di distanza, intanto, Paolino cominciava a riprendere coscienza. Il corpo intorpidito si rifiutava di obbedire ai suoi ordini, ma la mente era tornata lucida e gli occhi roteavano a destra e a sinistra fulminei per cercare di capire se ci fosse una via di fuga. Da quel che riusciva a vedere, si trovava nel retro di un furgone, quindi non erano ancora arrivati a destinazione, la gabbia nella quale era rinchiuso non era molto robusta, lui ne aveva conosciute con sbarre ben più spesse. I due accalappia cani se ne stavano tranquilli davanti, convinti che la dose da cavallo di tranquillante che gli avevano sparato in corpo fosse sufficiente per far dormire un cane per almeno una settimana, ma Paolino non era un cane. Nel lontano passato la sua forza era leggendaria e molti solo a sentire il suo nome se la facevano sotto. Poi, quando il Drago, dopo la terribile battaglia tra i due, invece che dargli il colpo di grazia, aveva curato le sue ferite e per tenerlo in vita gli aveva trasfuso parte del suo sangue, allora Paolino era divenuto ancora più potente.
Nel giro di una mezz'ora un formicolio fastidioso cominciò ad invadere il suo corpo, segno che il farmaco stava perdendo di efficacia, le zampe posteriori cominciavano a rispondere e passati pochi minuti il tentativo di alzarsi, riuscì. Quando il furgone fece il suo ingresso nel cortile del canile, nel suo retro, invece di un dolce agnello addormentato, c'era un Lupo forte ed arrabbiato, preoccupato per il suo pupillo, deciso a farsi strada combattendo fino alla fine delle sue forze per liberarlo. Quando i due gaglioffi aprirono il portello del mezzo, lui diede un calcio con le zampe posteriori allo sportello della gabbia, il lucchetto cedette subito con uno schianto tale da sembrare una fucilata e prima ancora che i due capissero che cosa stava succedendo, Paolino con un balzo raggiunse il centro del piazzale, pronto al combattimento, la sua meraviglia fu tanta quanta quella dei due uomini nello scoprire che nessuno del branco era la fuori ad attenderlo, lo avevano sottovalutato fino a quel punto?
Intanto la notte era sopraggiunta, i due uomini presi dal panico si erano chiusi nel furgone terrorizzati. Paolino rimase solo nel piazzale. A quel punto i latrati dei cani prigionieri risvegliati dal fracasso della sua fuga, coprivano ogni altro suono, ma l'olfatto del Lupo non poteva sbagliare, nella boscaglia intorno al canile, il branco si era riunito ad attenderlo, quando fosse uscito dal riparo del cortile lo avrebbero attaccato. Paolino non temeva la loro superiorità numerica, ma per salvare Luca non poteva perdere tempo in un combattimento, inoltre temeva di riportare ferite che avrebbero rallentato la sua corsa. Allora il suo interesse si indirizzò al capannone dove erano rinchiusi gli altri animali, si precipitò al suo interno e con poche e potenti zampate fece saltare tutti i lucchetti alle gabbie. I cani però spaventati dalle dimensioni del lupo non osavano avventurarsi fuori, allora paolino si mise a gridare: « tutti fuori bastardi che non siete altro, via di qua! Siete liberi! » questi allora spinti più dalla paura che dallo spirito di sopravvivenza si riversarono tutti insieme fuori dalle gabbie e in un gruppo compatto, usciti dal capannone e attraversato il cortile, si buttarono in strada.
Quando il Branco si avvide di tutta quella confusione, i lupi rivolsero lo sguardo verso il loro capo, in attesa di ordini, ma Il Grigio colto alla sprovvista esitò, questo bastò a Paolino, la calca e la polvere lo nascosero. In pochi secondi Il Grigio riprese il controllo: cominciò a urlare i suoi ordini, i lupi si buttarono nel cortile, poi perquisirono tutto il canile. Quando realizzarono che Paolino era riuscito a fuggire passando sotto i loro nasi, ormai lui era lontano un paio di chilometri, lanciato in una corsa folle in mezzo alla campagna.
« Ho conosciuto Bruno molti anni fa, durante un viaggio a Bora Bora » diceva Alberto. Intanto conduceva il grosso fuoristrada tedesco di Carla in una veloce corsa in mezzo alle stradine di campagna della pianura lodigiana.
« Due mesi fa mi scrisse una lettera, era preoccupato per la propria incolumità e mi chiedeva di tenere d'occhio la sua famiglia durante il suo viaggio di ritorno » .
A quel punto l'attenzione di Carla, che fino a quel momento era indirizzata solo alla striscia di asfalto che scorreva veloce sotto il cofano della macchina, si rivolse al viso di quell'uomo. Non riusciva a capire perché suo marito l'avesse mandato da loro. I fatti di quel giorno mettevano la sua sparizione sotto una nuova luce e la paura per il suo bambino tornò prepotentemente a riempire il suo cuore.
« Perché? » Fu tutto ciò che riuscì a dire.
« La famiglia Guerriero custodisce da molte generazioni un antico segreto. Qualcosa che uomini molto crudeli cercano, ma che assolutamente non dovranno mai trovare » nel dire quelle parole Lodrago usava la sua voce suadente e vellutata per riportare la calma nell'animo della donna.
« Un segreto che nelle mani di chi ha rapito suo figlio può sovvertire l'ordine del mondo intero » , gli occhi di Carla si socchiusero e lei cadde in un sonno profondo ma ristoratore.
A quel punto Alberto poté spostare tutta la sua attenzione alla guida del fuoristrada, che sotto il suo controllo aumentò ancora di più la velocità, sembrava volare tra una curva e l'altra e forse lo fece.
I minuti passavano veloci, quando la sua vista acutissima colse lontano tra gli alberi una sagoma nera che ben conosceva, subito, con un colpo deciso di sterzo, costrinse l'auto a buttarsi a sinistra per tagliare nella campagna. Se fosse stato abbastanza veloce sarebbe riuscito a tagliare la strada al Lupo che correva verso casa. Ma questi, vista e riconosciuta la macchina di Carla, rallentò il passo per permetterle di raggiungerlo. Quando si avvide di chi era alla guida si fermò, un ghigno di soddisfazione sulle labbra.
« Mister Lodrago, è un piacere rivederla, da molto tempo non ci si incontrava. » Disse ad Alberto, dopo che questi, fermata l'auto, ne discese.
« Comandante Paolino, è destino che ci si veda sempre in tristi occasioni » L'uomo si avvicinò sorridente al Lupo, lo avrebbe abbracciato per la gioia e il sollievo di rivederlo incolume, ma questo non si addiceva a due combattenti come loro.
L'attenzione di Paolino si spostò al fuoristrada e alla donna addormentata sul sedile anteriore.
« Che ci fa lei qui? » Chiese.
« Guglielmo ha commesso un errore a non rapire anche lei. Un senza famiglia come lui non ha capito che arma sarebbe stata in mano sua, la mamma di Luca. Non potevo lasciarla. Quando il Principe lo scoprirà, andrà su tutte le furie e di sicuro la manderà a riprendere. » Disse Alberto.
« Già, ma ora dobbiamo trovarle un posto sicuro. » mentre parlava, Paolino si guardava intorno, cercando di cogliere tutti i suoni e gli odori del bosco, per capire se gli inseguitori stessero arrivando.
« non abbiamo più tempo, salta in macchina » disse Lodrago, « vecchi amici arrivano per la colazione, ma io adesso non ho fame. » Detto questo i due corsero al fuoristrada che sgommando partì veloce.
« la vecchia strega è ancora viva? » chiese Alberto, tutto assorto nella guida.
« nemmeno il diavolo può prendersela! » rispose il Lupo, ma nonostante le parole dure, un moto di affetto era celato nel tono della sua voce.

giovedì 25 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma


II Parte


Il tempo scorre inesorabile e con lui molte cose iniziano, molte finiscono, altre evolvono e cambiano, si trasformano: così la guerra. La guerra che non conosce mai fine, ma che continua a modificare il modo in cui viene combattuta e tanto il nemico è pericoloso quanto più è in grado di introdurre cambiamenti nelle sue tattiche.
Paolino e Alberto ogni notte dalla cima della collina osservavano la campagna circostante, si preparavano al combattimento, affinavano i sensi, pronti a cogliere il momento dell'attacco, così come avevano fatto per secoli, ma l'attacco non arrivava mai.
Intanto una disgrazia era piombata sulla famiglia, Bruno, comandante di uno stupendo Yacht a vela durante il viaggio di ritorno dalle Antille era sparito in mare, proprio in pieno Atlantico del Nord. Per la mamma e il figlio il colpo fu durissimo. Troppe cose gravavano sulle spalle di lei e ora che il marito, già assente da parecchi mesi, era disperso, il mondo sembrava pronto per crollarle addosso.
Luca uscì distrutto dal dolore per la perdita del suo eroe più grande. Ogni giorno durante le sue lunghe assenza ne aveva aspettato il ritorno. Ogni giorno passava ore a ripetere al Lupo ed al Drago le avventure affascinanti e fantastiche vissute dal padre.
I giorni che seguirono furono carichi di tristezza e tensione e anche i due guardiani non sapevano cosa pensare degli avvenimenti accaduti.
« Forse abbiamo sottovalutato il nostro nemico » Disse una notte Paolino a denti stretti, tanto una simile ammissione gli era difficile da pronunciare. « Credo che il padre del ragazzo sia stato ucciso » Le ultime parole furono un ringhio feroce.
« la mia paura più grande » ribatté Alberto « è che invece sia stato catturato ».
A quel punto gli occhi del Lupo fiammeggiarono per la rabbia e un brivido di paura passò per la sua schiena. Le conseguenze di un rapimento simile sarebbero state gravissime.
« Abbiamo pensato ad un attacco diretto, come un tempo, invece la partita che si sta giocando è molto più complessa, dobbiamo cercare di prevedere la prossima mossa » .
Gli occhi dei due puntati sull'orizzonte: « è là da qualche parte » il ringhio cavernoso del Lupo, poi un ululato di guerra, potente e fiero, come solo un vecchio soldato della sua forza era in grado di lanciare, un colpo di cannone esploso contro l'avversario nascosto nella notte.
Alcuni giorni dopo il Dottor Guglielmi si presentò alla porta della villetta, con lui c'erano due infermiere carine e gentili. Nelle settimane precedenti aveva discusso parecchio con la mamma di Luca sulla necessità di fargli trascorrere un breve periodo in clinica per studiare meglio il suo problema di natura psichiatrica. Sarebbe stato benissimo, « il reparto per l'infanzia » diceva « è simile ad una sala giochi e ci sono gli altri bambini per fare amicizia; poi gli esami sono semplici, assolutamente non invasivi, più che altro si tratta di osservare il suo comportamento, per trarre le dovute conclusioni. » Mentre parlava teneva gli occhi fissi su quelli della giovane vedova e le due infermiere ogni tanto annuivano accondiscendenti e rincuoranti. Tutto va bene, tutto andrà per il meglio. La mamma, le difese abbassate dal grande dolore, non fu in grado di opporsi, appose la sua firma sul documento di internamento del figlio come in uno stato di trans. Le infermiere si alzarono e si diressero verso il giardino dove il paziente, ormai affidato alle loro cure stava giocando col suo cane.
Non ci volle molto a Paolino per capire che le cose stavano prendendo una piega inaspettata. L'attacco tanto atteso infine giungeva in pieno giorno, quando le due donne fecero per avvicinarsi al suo protetto, si mise subito in mezzo, il pelo ritto e i denti scoperti, pronto a colpire, non avrebbe permesso a nessuno di portare via il ragazzo. Ma quella era solo la manovra diversiva di un piano ben congegnato, dal nulla, alle spalle del Lupo, comparvero due uomini armati di fucili carichi di un potente tranquillante, i colpi furono precisi, in pochi secondi le forze cominciarono a mancare, le gambe posteriori cedettero, quando si rese conto di essere sconfitto emise un guaito di dolore, il suo cuore spezzato, “scusami ragazzo!”. Tutto si svolse velocemente, programmato da molto tempo, l'ambulanza e il furgone dell'accalappia cani si precipitarono nel retro della casa e prima che Luca potesse rendersi conto di quello che stava accadendo, impietrito nel vedere il suo forte compagno a terra immobile, furono entrambi caricati a bordo dei rispettivi automezzi e portati via. Anche a lui venne iniettato un sonnifero, i suoi aguzzini non sapevano a quale grado di addestramento fosse giunto e non volevano certo correre il rischio di vederselo sfuggire da sotto le unghie. Il capo non li avrebbe perdonati.
Quella notte, quando Alberto planò nella radura sulla collina, di ritorno dal viaggio che l'aveva tenuto lontano per qualche giorno, non trovò il Lupo ad attenderlo. I segni del cattivo presagio erano ovunque. Oltre a Paolino mancava anche il nemico. Non riusciva a percepirne più la presenza, l'odore. Subito si precipitò alla casa, trovò porte e finestre spalancate, il fiuto sensibilissimo portava al suo naso il tanfo della disgrazia e della paura, sapeva ormai di essere arrivato tardi, le cose erano precipitate in sua assenza, ma il drago era una creatura troppo antica per lasciarsi perdere d'animo facilmente, una battaglia era persa, ma la guerra era ancora lunga, il gioco era appena cominciato. Si mise a girare li intorno, studiando le tracce e gli odori rimasti e subito si fece un'idea chiara di come si era svolto l'attacco, inoltre sapeva che sia il Lupo che il ragazzo erano ancora vivi, il tempo però era poco e bisognava agire velocemente.
Carla riaprì gli occhi lentamente, era in stato confusionale, si trovava sdraiata sul divano di casa ed era notte fonda, non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto dal pomeriggio. Poi dalle nebbie della sua mente l'immagine di suo figlio e del cane che venivano caricati su dei furgoni cominciò a farsi strada e il terrore per le sorti del suo bambino prese il sopravvento. Si alzò e si precipitò subito fuori casa chiamando il nome di Luca. Vedendo i segni dei pneumatici sull'erba del giardino comprese che tutto si era svolto veramente e che la realtà era diventata il peggiore dei suoi incubi. Ad un certo punto le parve di vedere la sagoma scura di una creatura gigantesca fissarla dal centro del prato con occhi fiammeggianti, ma fu un istante, il tempo di battere le ciglia e si accorse che c'era un uomo, un signore di circa settant'anni, vestito di tutto punto e con un bastone, di quelli da passeggio col manico di avorio,la fissava con sguardo risoluto e tranquillizzante. Subito riacquisto un po' di calma. L'uomo dal viso gentile ma fermo, le si avvicinò: « Dove hanno portato suo figlio, signora? », la voce morbida e profonda.
« La clinica... » cominciò lei « il Dottor Guglielmi... » le idee faticavano a trovare ordine nella sua testa.
« Guglielmi? Ha detto di chiamarsi così? » riprese il signore alto dal pizzetto bianco, come per invitarla a continuare, lo sguardo fisso su di lei.
« Si. Guglielmi, della clinica psichiatrica » finalmente il cuore rallentava il battito e la respirazione diventava più regolare, le idee cominciavano a schiarirsi « a Torino ». Carla cominciava a riaversi:
« Ma lei chi è? Cosa fa nel mio giardino? Come sa che mio figlio è stato portato via? » La rabbia trovava finalmente giusto sfogo nelle domande che poneva allo sconosciuto.
« Io so molte cose » , disse lui in un tono basso e profondo, antico. « ma il tempo è poco, prima dobbiamo recuperare Paolino » . Gli occhi di lei incrociarono i suoi e vi lessero sicurezza e determinazione, non sapeva nulla di lui, ma la carica di energia che infuse nel suo corpo la spinse a fidarsi ed istintivamente si mise nelle sue mani.
« il mio nome è Alberto Lodrago » si presentò tendendo la mano.
« Carla, Carla Guerriero rispose lei timidamente e prese la mano nella sua. Ancora una volta la forza e il calore dell'uomo infusero in lei calma e sicurezza.
« Ha un'idea di dove possano aver portato il pastore tedesco? » Chiese lui.
« il furgone del canile, portava le insegne del comune di Segrate, non è lontano » rispose lei dopo averci pensato un poco.
« prendiamo la sua macchina allora e andiamo a riprendercelo » .

martedì 23 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

I Parte

La mamma stava sull'uscio, la spalla appoggiata allo stipite, le braccia incrociate. Lo sguardo preoccupato ma carico di amore accarezzava le spalle di Luca. Sul tavolo della cucina, una busta aperta. “Un bambino con una grande fantasia”, così aveva sempre considerato il suo piccino, ma le parole sullo scarno foglio dattiloscritto accartocciato rabbiosamente e buttato nell'angolo dietro il frigorifero dicevano qualcos'altro.
Luca era seduto in giardino, amava il contatto con l'erba fresca e profumata del mattino. In mano teneva una racchetta di plastica sulla quale faceva saltare la sua pallina di gomma magica, contava i palleggi, quel gioco era la sua scoperta della settimana.
Paolino, il grosso pastore tedesco, dal manto nero con riflessi argentei, più simile ad un lupo che ad un cane, stava accucciato alla sua destra, osservava in silenzio, il suo sguardo era come al solito attento a tutti i movimenti e le orecchie ben dritte si muovevano a destra e a sinistra per inseguire il più piccolo suono, una sua vecchia abitudine, anche nel giardino di quella villetta di campagna in una tranquilla mattina d'estate, non riusciva mai a rilassarsi completamente.
« Tua mamma ti sta fissando ».
« Lo so Alberto » , già da parecchio tempo Luca era consapevole degli occhi dolci di sua mamma posati sulla sua schiena, ma aveva deciso di far finta di nulla. Dentro il suo cuore sapeva che l'amore di lei in quei giorni era destinato a combattere una guerra nuova, aveva deciso di comportarsi come un bambino normale, forse le cose si sarebbero sistemate.
« Ma le cose non si sistemeranno così facilmente. Lui non ti lascerà in pace. » Come al solito Alberto leggeva chiaramente i suoi pensieri dal suo atteggiamento. Questa cosa seccava sempre Luca, ma sapendosi osservato aveva deciso di non rispondere. Paolino si limitò ad un sospiro lungo e profondo. I suoi occhi neri come la notte non riuscivano a nascondere la preoccupazione.
« Giorni oscuri si avvicinano, ormai sanno chi sei, non tarderanno a venirti a cercare. »
A quel pensiero la mano di Luca tremò e la pallina rimbalzando sul telaio della racchetta spiccò un salto lunghissimo e finì nella siepe li accanto. Gli occhi di tutti e tre seguirono il volo e la caduta tra i rami. Era una mattina senza vento, il cielo limpido e il sole caldo annunciavano una splendida giornata estiva. Paolino sperava di fare un salto al laghetto con Luca più tardi. Amava terribilmente quelle acque fresche.
Dalla casa intanto sopraggiunse lo squillo del telefono.
« Tua mamma è rientrata » gli occhi di Alberto si fecero vivaci, « dai, tira il bastone! ».
Luca che si era alzato per andare a recuperare la pallina, guardò Alberto, « Vecchio come sei hai ancora voglia di giocare? » , così dicendo si spostava lentamente verso il bastone abbandonato tra l'erba, il sorriso sulle labbra, amava molto prendere in giro l'amico. Gli occhi attenti dell'altro fissi a seguire ogni sua mossa, « l'età non conta, io mi sento come un giovincello. »
Paolino osservava attento la scena, anche lui amava giocare così, la tensione dei muscoli, lo scatto quando il suo padrone lanciava il bastone, cercare di prevederne la traiettoria e la corsa a perdi fiato, la gioia e la spensieratezza, ma era passato tanto tempo dall'ultima volta che si era concesso un momento simile. Troppo tempo.
Luca si muoveva lentamente, avvicinandosi al bastone teneva la coda dell'occhio puntata su Alberto, voleva sorprenderlo, ma l'altro conosceva troppo bene le regole di quel gioco infantile, i suoi muscoli si tesero come corde di violino, l'eccitazione cominciava a prenderlo.
Con uno scatto velocissimo Luca, infine, balzò sul bastone, un ramo della lunghezza di un paio di metri perso dall'altissimo pioppo, che con la sua ombra dava ristoro in quelle giornate così calde e che col frusciare delle sue fronde alla brezza riempiva il silenzio della campagna solitaria, lo agguantò con tutta la forza di cui era capace e lo scagliò lontano verso il cielo blu. La velocità fu tale che per poco lo sguardo di Alberto non lo perse, ma appena capita la traiettoria la sua reazione fu ugualmente fulminea. Aprì le grandi ali e spiccò il volo rapido come una saetta. Lo spostamento d'aria, quando il grande drago decollò fu tale che quasi buttò Luca per terra.
Ripreso l'equilibrio lui e Paolino osservarono la grande massa nera lanciata nel cielo; in quei momenti, conscio della grande forza del Drago, la cicatrice rossa che attraversava il muso del lupo bruciava dell'antico dolore, memoria indelebile della battaglia che aveva visto i due combattere l'uno contro l'altro, allora nemici implacabili.
« Questa volta gli ci vorrà un po' a tornare, l'ho lanciato veramente lontano, a quest'ora sarà già sulla Luna! » gongolava Luca.
“ Fosse vero!” pensava Paolino dentro di sé, sapendo quali difficili momenti attendevano i tre.
Fu nonna Rosa a mandarlo in quella casa. La mamma di Bruno, quando aveva saputo che suo figlio e la bella moglie attendevano quello che sarebbe stato il suo primo nipote.
Fu un distacco doloroso, Paolino era stato al suo fianco per tutta la sua vita e ora, proprio nel momento in cui la vecchiaia stava prendendo il sopravvento sul suo corpo i due dovevano separarsi.
Ma così doveva essere, così era stato per generazioni all'interno della sua famiglia.
La verità sulla natura del vecchio lupo si era persa nei secoli, custodi del segreto della sua longevità, i Guerriero si passavano il compito di accoglierlo nelle loro dimore, saltando sempre una generazione, e Bruno un po' invidiava il fortunato bambino che avrebbe avuto il lupo al suo fianco per tutta la vita, ma lui non conosceva quello che un antico fato aveva predisposto per Luca già da moltissimo tempo.
In quel momento, nel giardino immerso nel verde, Luca osservava fiero del suo lancio il muso del suo migliore amico, sapeva cosa fare per sollevare il suo spirito avvilito, la pallina recuperata riposta nella tasca dei pantaloni, un lampo furtivo attraversò i suoi occhi, Paolino che ben sapeva cosa significasse preparò i muscoli allo scatto e quando il ragazzino di dodici anni si lanciò di corsa lungo il sentiero che portava al molo, si buttò al suo inseguimento, in un istante lo raggiunse e superandolo guardò verso di lui, fiero della sua forza, del suo animo indomito, il cuore che scoppiava per l'amore che provava, al diavolo la lotta che li attendeva, “combatteremo come leoni e vinceremo!”, la certezza si impadronì del suo corpo e le energie triplicarono, la corsa finì in un fragore di acqua e schiuma, quando,con uno slancio possente, si tuffò nel laghetto seguito subito dopo da un Luca urlante di gioia e pieno di vita.
In alto, sperduto nel cielo, Alberto, con la sua vista incredibile, osservava la scena divertito, poi un lampo grigio passò davanti ai suoi occhi, una vecchia conoscenza, immediatamente eseguì una cabrata e poi si gettò in picchiata, “andiamo a porgere i saluti”, pensò.
Quella notte, al chiaro di una Luna piena, grande come non mai, il Lupo e il Drago si incontrarono sulla collinetta dietro il lago, la radura sopra la sua cima era un perfetto punto di osservazione, da lì si dominava la casa dei Guerriero e tutta la campagna intorno, inoltre le due sagome di guardia erano ben visibili a chilometri di distanza, monito ed avvertimento per chiunque avesse avuto gli occhi per vederli.
« Sono qui intorno, il loro tanfo è dappertutto. » Paolino spaziava con lo sguardo verso l'orizzonte, conscio di poter vedere ben poco rispetto al compagno, la vista dei draghi era leggendaria.
« cosa hai visto questa mattina? »
il Drago allora rivolse la sua attenzione divertito verso il Lupo, « sapevo di non averti ingannato con la storia del bastone. »
« Lascia i giochetti a chi ha meno di mille anni di vita. »
Una brezza leggera, intanto si era sollevata da Sud, calda e umida, annunciava una giornata di pioggia.
« Ho visto il Grigio. »
Nel sentire quel nome Paolino emise un ringhio, basso e feroce, il Grigio. I ricordi legati a quello che un tempo era il suo luogotenente erano carichi di una rabbia e di un dolore vivi come se un solo giorno fosse trascorso.
« Credevo che le sue ossa giacessero all'inferno da secoli ormai. » disse a voce bassissima, il respiro mozzato dall'odio.
« Insieme alle tue? » disse il Drago, alludendo alla sua longevità.
« Lui ti ha visto? »
« Se mi ha visto, mi domandi? » e Alberto scoppiò in una fragorosa risata, « ho fatto un passaggio a bassa quota su di lui ed il branco, laggiù, dove il fiume fa quella curva a Est, si sono fatti sorprendere come fanciulle al bagno, due dei suoi cani non abbaieranno mai più alla luna e il Grigio si è preso una bella scaldata alla coda, la prossima volta staranno più attenti all'alito del Drago! »
« Dall'ultima battaglia sono passati secoli, la guardia era bassa, non commetteranno più questo errore. » disse Paolino, lungi dal condividere l'allegria del compagno.
Il Drago divenne serio, « allora fu il tuo tradimento a causare la loro sconfitta » disse fissando il Lupo negli occhi, « cosa ci aiuterà questa volta? »
In quel momento, un lungo ululato di dolore e rabbia attraversò la campagna silenziosa.
« Ancora una volta sarà il mio tradimento. Il loro odio per me è un'arma in mano nostra, dobbiamo spingerli a commettere altri errori. » la voce di Paolino era ferma e risoluta « io sarò l'esca. »

mercoledì 17 marzo 2010

Questo è il blog dell'assurdo.
Nessuna verità, poca morale;
fantasia, dramma, amore e malvagità.
Un pizzico di fantascienza...
Sperimentazione, ma niente poesia!