La porta cederà presto.
I colpi si susseguono. Sa che
sono qui dentro, mi vuole.
Quando? Quando è cominciato
questo incubo?
Ieri sera. Si, ieri sera. La
spiaggia, il fuoco, la carne sulla griglia, il grande cielo stellato.
Paola era bellissima. La pelle color ambra, gli occhi grandi e
azzurri, mi ci sono perso in quegli occhi, fin dal primo giorno.
Avevamo fatto il bagno e teneva la salvietta legata alla vita, come
un pareo. Mi guardava, sorrideva.
Intorno a noi, altri ragazzi, amici suoi. Un
gruppetto, non ricordo, forse otto, si, otto. Ragazzi e ragazze,
ridevano e scherzavano intorno al fuoco, alcuni ballavano al suono
della vecchia radio a batterie. Un paio si erano defilati nella
boscaglia dietro la spiaggia. Dai bungalows del villaggio giungevano
musica e risa, altri falò, altri ragazzi.
Sembra tutto così lontano, ora,
con quella cosa, che picchia. Maledetta, maledetta!
Io e Paola ci tenevamo un po’
discosti dal gruppo, forse per questo riuscimmo a sopravvivere al
primo assalto.
Dalla boscaglia, veloce, silenzioso.
Una furia cieca, possente, con gli
artigli fendeva l’aria e le carni, con le mascelle stritolava le
ossa.
Impietriti, mano nella mano come due
amanti al chiaro di Luna, guardavamo l’animale informe fare a pezzi
i nostri amici, sotto quello splendido cielo stellato.
Non ci vide.
Fermo sulle carcasse delle sue
vittime girava la testa verso il villaggio dal quale i suoni della
festa giungevano, e, com’era venuto, spariva per riprendere la
caccia. Pochi secondi.
Pochi secondi per porre fine alla
vita in quel lembo del Messico.
Nel frattempo noi rimanevamo
immobili. Gli occhi fissi sui cadaveri poco distanti. La brezza
leggera che si infilava tra le fronde delle palme alle nostre spalle.
Uno dei ragazzi, credo fosse Pietro,
era caduto sul braciere e l’odore delle sue carni arrostite, a
tratti, ci raggiungeva. La musica era cessata, il silenzio dominava
su tutto. Solo la risacca riempiva il grande vuoto lasciato dalla
natura fuggita anch’essa terrorizzata.
Dal villaggio giungevano echi di
suoni terribili, la bestia terminava il fiero pasto.
Mi ricordai allora della capanna del
vecchio eremita, doveva essere ancora in piedi. Un chilometro, forse
due. Costrinsi Paola ad alzarsi, le gambe tremavano e lo sforzo per
compiere i primi passi fu estenuante. La trascinai sul bagnasciuga e
ci dirigemmo verso il rifugio, che forse ci avrebbe permesso di
sopravvivere fino all’alba. Speravo, che con l’arrivo del giorno
la creatura se ne sarebbe andata.
Man mano il passo si faceva più
sicuro, non dovevo più trascinare la ragazza, mi seguiva
silenziosa. La fiducia si faceva strada nei nostri cuori e le forze
cominciavano a tornare. Il cielo ad oriente si faceva più chiaro.
Il Sole. L’alba. La salvezza.
Credo fossero le cinque del mattino,
quando dietro alla curva della spiaggia scorgemmo la capanna.
Sembrava in buono stato. Distava un centinaio di metri. Alla nostra
sinistra il mare, a destra il bosco e fu proprio dagli alberi che uno
strano rumore aveva attirato la mia attenzione. Fin dal momento
dell’attacco nessun suono, né verso di animale ci avevano
raggiunto e quello scricchiolio aveva gelato il sangue nelle mie
vene. Paola non sembrava aver sentito nulla. La capanna si avvicinava
troppo lentamente. Le diedi uno strattone e cominciammo a correre.
Veloce, veloce, sempre più in fretta. Alle nostre spalle qualcosa
saltò fuori dalla boscaglia. Non avevo il coraggio di guardare. Ci seguiva. Ci raggiungeva. Mano nella mano correvamo a più
non posso, decisi a farci scoppiare i polmoni, la creatura dietro di
noi, folle, rabbiosa.
Ecco la capanna. La porta. Entro.
Paola non c’è, la sua mano non è più nella mia, l’ho persa.
Sprango la porta davanti ad una
spiaggia deserta. Il sole all’orizzonte, il cielo azzurro, il mare
cristallino, la brezza leggera e fresca,
l’ho persa.
Quella stessa porta giace ora ai
miei piedi. La creatura mi fissa, sagoma scura, occhi di bragia. Un
ringhio feroce, le zanne scoperte.
La paura è passata.
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