martedì 30 marzo 2010

Luca, Paolino, Alberto e la pallina di gomma

IV Parte


Valutare correttamente la forza dell'avversario molte volte fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta, così, come Paolino e Alberto avevano sottovalutato l'astuzia di Guglielmo Guglielmi, ora lui, tratto in inganno dall'aspetto delicato del ragazzino che dormiva sulla barella nel retro dell'ambulanza, sottovalutava la forza e l'addestramento al quale era stato sottoposto fin da quando ancora non riusciva a compiere i primi passi. Perché Paolino e Alberto, ben consci del suo destino, erano entrati nella sua vita fin da subito e nel tempo gli avevano infuso tutta la forza e le conoscenze accumulate nei secoli della loro lunga vita. E questo sarebbe stato già sufficiente per fare di lui un guerriero di prima scelta, ma il Drago con lui aveva fatto qualcosa che mai prima era stato tentato, qualcosa che né Guglielmo, né il Principe suo padrone potevano immaginare, perché violava leggi antichissime e radicate anche nei cuori più duri.
Luca, non dormiva. Aveva passato ore a discutere con i suoi tutori di quale fosse la tattica migliore nel caso fosse stato catturato e a loro insaputa, nel segreto della sua mente, aveva cominciato a pensare ad un piano, un piano che ora stava seguendo.
Non aveva paura. Non temeva le creature del Principe. Aveva lasciato che lo rapissero e ora lasciava che lo pensassero svenuto sotto gli effetti dei farmaci. Aveva raggiunto uno stato di rilassamento Prana-Bindu profondissimo, il suo cuore aveva rallentato il battito e il respiro era leggerissimo. La muscolatura in questo stato era morbida e floscia, celava completamente la sua forza. La temperatura corporea si abbassava e la sudorazione cessava.
« Dottore » Disse una delle infermiere, « forse abbiamo esagerato col tranquillante, sembra morto. »
Guglielmi venne sul retro dell'ambulanza, un filo di preoccupazione attraversava i suoi pensieri, mise l'orecchio vicino alla bocca del ragazzo.
« no » , disse, « il respiro c'è » , appoggiò le dita della mano sul suo collo, « anche il battito, è solo profondamente addormentato » .
I sensi addestrati di Luca leggevano Guglielmo e i suoi scagnozzi come libri aperti, il tono della voce, del quale riusciva a cogliere le più piccole sfumature, il modo di toccarlo, la temperatura dei loro corpi, persino il loro odore, tutto permetteva al ragazzo di percepire i loro stati d'animo e attraverso questi di cogliere i loro pensieri. Sapeva che il suo piano stava procedendo bene e che nessuno di loro si aspettava quello che sarebbe successo. Dentro di lui era felice, ma profondamente risoluto nel raggiungere il suo obbiettivo.
Le ore passarono lentamente, l'ambulanza, che per non attirare l'attenzione procedeva a velocità ridotta, lasciata l'autostrada, aveva imboccato una provinciale stretta e tortuosa, che penetrava in profondità tra le colline del Cuneese. Verso mezzanotte si fermò davanti al cancello di ferro della clinica per malattie mentali “Villa Bazzi”. Due colpi di clacson e la pesante anta scorrevole si fece da parte. Due telecamere posizionate in cima ai pilastri del cancello seguirono il mezzo mentre entrava e percorreva il lungo viale che conduceva all'entrata di un vero e proprio castello.
Non si fermò davanti all'entrata principale, però, ma continuò fino alla rimessa nel retro. Là, due energumeni in camice bianco attendevano in silenzio. I corpi muscolosi compressi nei vestiti che sembravano sul punto di scoppiare dicevano chiaramente che i due bruti non erano abituati a portarli. Appena l'ambulanza fu ferma, il portello posteriore fu aperto e la portantina sulla quale era legato Luca, venne velocemente scaricata dalle due infermiere. I due si posizionarono sui fianchi e, seguito a ruota dal dottore, il piccolo corteo si precipitò in tutta fretta all'interno. Non rallentarono il passo fino a quando la grossa porta di acciaio della rimessa non fu chiusa alle loro spalle, il Drago era ancora in circolazione e temevano un suo attacco.
Condussero Luca nella camera di isolamento, una cella di quattro metri per quattro completamente imbottita per impedire ai pazienti di farsi del male, considerata a ragione la stanza più sicura dove tenere il prigioniero. Poi una volta adagiatolo sul materasso steso sul pavimento, anch'esso imbottito, lasciarono la stanza e si chiusero la porta alle spalle, solo allora Guglielmi si permise di tirare un sospiro di sollievo: “è fatta!” pensò. Mentre si recava a dare la notizia del successo al suo padrone sorrideva soddisfatto.
Neanche in gioventù, il Principe aveva avuto un carattere facile. E ogni secolo che passava diventava sempre più burbero e intrattabile. Durante la sua vita aveva toccato eccessi di crudeltà difficilmente immaginabili, ma ora che il raggiungimento del suo scopo si stava avvicinando, si era accorto di aver perso energia. La ferocia aveva lasciato il posto alla tristezza, alla solitudine. Il lunghissimo esilio a cui era stato condannato, forse stava per giungere al termine, ma troppi anni erano passati, era diventato vecchio. Ormai non c'era più la sete di potere a spingerlo a continuare, ma una questione di puntiglio, un principio che però ogni anno perdeva sempre di più il suo valore.
In quel momento era seduto nella sala della sicurezza della clinica, davanti a lui, alcuni schermi mostravano le camere vuote dei pazienti, mostravano il Dottor Guglielmi mentre percorreva il lungo corridoio per venire a vantare le sue gesta, mostravano un ragazzino di dodici anni che lentamente si risvegliava dal torpore causato dai calmanti. Avrebbe dovuto odiare quel ragazzino, disprezzarlo, ma ormai questi sentimenti si erano affievoliti nel suo petto, nulla li aveva sostituiti, non provava nulla.
« Principe! Ce l'abbiamo fatta! » Guglielmi piombò nella stanza senza nemmeno bussare.
« Fuori di qui! » rispose il Principe con voce dura « non osare mai più presentarti a me in un modo simile! » per il gaglioffo fu come ricevere una doccia gelata, rimase immobile con la bocca spalancata e la maniglia della porta ancora stretta in mano. « Ora vattene! » .
Lentamente il Dottore si chiuse la porta alle spalle e una volta uscito, il Principe tornò a rivolgere la sua attenzione al ragazzo, cercava qualcosa nel suo cuore, odio, rabbia, qualcosa che lo spingesse ad agire, qualcosa che lo facesse sentire di nuovo vivo, ma non trovava nulla.
Intanto Luca decise che era ora di smettere di far finta di dormire. Lentamente uscì dalla trans autoindotta in cui si era rifugiato e le funzioni del suo corpo tornarono gradatamente allo stato naturale. Aprì gli occhi e dopo qualche minuto si mise a sedere sul materasso. Esaminò la stanza, ma non vi trovò niente che potesse essergli utile. L'odore al suo interno gli trasmetteva la paura delle persone che vi erano state rinchiuse e questo non gli piaceva, non gli permetteva di pensare lucidamente. Sapeva di essere prigioniero, ma sapeva anche che il suo avversario non conosceva la sua reale forza. Inoltre la sua fiducia nei confronti del Drago e di Paolino era totale. Anche se aveva visto catturare il Lupo, era certo che in quel momento fosse già libero e stesse precipitandosi in suo soccorso. Il suo piano doveva continuare, il dolore per la perdita di suo padre lo aveva spinto a organizzare la sua vendetta e non si sarebbe fermato davanti a niente.
Si dispose ad attendere. Prima o poi il Principe lo avrebbe chiamato in suo cospetto e allora si sarebbe reso conto dell'enorme errore che aveva commesso nel toccare la sua famiglia.
Mettendo la mano nella tasca vi trovò la sua amata pallina di gomma, si mise a lanciarla contro la parete, l'imbottitura ne assorbiva l'energia e la pallina rimbalzava male.
Lentamente la lancetta dei minuti percorreva il quadrante, un giro dopo l'altro e la pallina andava e veniva dalla mano alla parete, dalla parete alla mano; poi all'alba i tre catenacci che la sbarravano vennero sollevati e la porta si aprì.

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